giovedì 31 ottobre 2013

L'Italia non esiste più. Al suo posto solo caos

Italia in crisiGli storici del futuro probabilmente guarderanno all'Italia come all'esempio perfetto di un paese che in appena due decenni è riuscito ad affondare dalla posizione di nazione industriale prospera e all'avanguardia, alla condizione di incontrastata desertificazione economica, assolutamente pessima gestione demografica, “terzomondizzazione” rampante, tracollo della produzione culturale, e completo caos politico-istituzionale.
In un breve post in questo stesso blog, la situazione disastrosa dell'economia italiana è stata brevemente descritta.
A pochi mesi di distanza, lo scenario di un serio disordine nelle finanze dello stato italiano si sta consolidando, con l'introito fiscale che si è contratto del 7% in luglio, il rapporto deficit/PIL proiettato di nuovo ben oltre la soglia obbligatoria del 3%, e il debito pubblico ben oltre il 130% del PIL. E peggiorerà.
Il governo sa perfettamente che la situazione è insostenibile, ma per il momento è solo capace di ricorrere ad un aumento dell'IVA estremamente miope (fino a toccare lo sbalorditivo 22%) che deprimerà ancora di più i consumi, e di vaghi proclami sulla necessità di spostare il carico fiscale dagli stipendi e le aziende alle rendite finanziarie, nonostante la probabilità che questo sia messo in pratica siano di fatto trascurabili.


Per tutta l'estate, i politici italiani e la stampa mainstream hanno martellato la popolazione con messaggi su un'imminente ripresa. In effetti, per un'economia che ha perso circa l'8% del PIL non è impossibile uno o più trimestri positivi. Tuttavia, è una profonda distorsione semantica elementare chiamare un recupero annuale del (forse) 0,3% una “ripresa”, considerando il disastro economico degli ultimi 5 anni. Sarebbe più corretto parlare di transizione da una severa recessione a una sorta di stagnazione. Sfortunatamente, come i protagonisti di una tragedia greca, i leader italiani sono stati privati dagli dei anche di questo pietoso e illusorio sogno di stagnazione. I dati economici dei mesi estivi mostrano che il declino economico è lungi dall'essere finito.
Uno studio recente indica che il 15% dell'industria manifatturiera italiana, che prima della crisi era la maggiore in Europa dopo la Germania, è stato distrutto, e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questi dati da soli mostrano l'entità immensa, sostanzialmente irreparabile, del danno che il paese sta subendo. Secondo l'autore, le radici di questa situazione sono nella cultura politica immensamente degradata dell'élite del paese, che, negli ultimi decenni, ha negoziato e firmato innumerevoli accordi e trattati internazionali senza nemmeno considerare gli interessi economici del paese e senza alcun ragionevole progetto per il suo futuro. L'Italia non avrebbe potuto entrare nell'ultima ondata della globalizzazione in condizioni peggiori.
I leader del paese non hanno mai riconosciuto che l'apertura indiscriminata ai prodotti industriali leggeri dell'Asia avrebbe distrutto le industrie italiane che prima erano leader negli stessi settori. Hanno firmato gli euro trattati promettendo ai partner europei riforme che non sono mai state attuate, ma impegnandosi in pieno alle politiche di austerità. Hanno firmato il regolamento di Dublino sui confini europei sapendo perfettamente che l'Italia non è minimamente capace (come mostrato dal continuo influsso di immigranti clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di controllare e proteggere i suoi confini. Di conseguenza, l'Italia si è trovata imprigionata in una rete di strutture legali che stanno rendendo la completa scomparsa della nazione praticamente certa.
L'Italia al momento ha la più alta tassazione sull'impresa in Europa, e una fra le più alte del mondo. Questo fattore, insieme a un mix fatale di terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente e burocrazia inefficiente, che include la più lenta e inaffidabile giustizia in Europa, sta spingendo tutti i rimanenti imprenditori fuori dal paese. Questa volta non solo verso destinazioni con basso costo del lavoro, come l'Asia orientale e meridionale, ma un grande flusso di aziende italiane si sta riversando nelle confinanti Svizzera e Austria, dove, nonostante il costo del lavoro relativamente alto, le aziende trovano un vero stato che collabora con loro, invece di sabotarle. Un evento recente organizzato dalla città svizzera di Chiasso (vicino al confine italiano) per illustrare le opportunità di investimento nel Canton Ticino, ha avuto la partecipazione di una folla di 250 imprenditori italiani.
La scomparsa dell'Italia come nazione industriale è anche riflessa nel livello senza precedenti della fuga di cervelli, con decine di migliaia di giovani ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia, come anche in Nord America e Asia orientale.
In definitiva, chiunque nel paese produca qualcosa di valore, insieme alla maggior parte della popolazione istruita, se ne sta andando, sta progettando di andarsene, o vorrebbe andarsene. In effetti l'Italia è diventata un posto per una sorta di saccheggio demografico dalla prospettiva di altri paesi più organizzati, che da molto hanno visto l'opportunità di attrarre facilmente lavoratori altamente qualificati, spesso educati a spese dello stato italiano, semplicemente offrendo loro prospettive economiche ragionevoli che non vedranno mai se resteranno in Italia.
Tutto questo sembra non preoccupare la leadership politica italiana. Da una parte, il paese è prigioniero di un duopolio culturale: o è cultura cattolica, o è cultura socialista. Entrambe sono preoccupate con ambizioni universali (piuttosto escatologiche e sempre più antimoderniste) che rendono la prospettiva nazionale non viabile per loro. In effetti, lo stato italiano fu creato da conservatori liberali e monarchici modernisti, a volte animati da forme virulente di anticlericalismo, essenzialmente l'opposto dell'élite politica odierna. Non sorprende che quanto viene raggiunto dai primi, viene disfatto dai secondi. Il problema tuttavia non è tanto lo smantellamento dello stato nazione, ma che lo stato nazione non verrà rimpiazzato da alcun significativo progetto politico, lasciando il posto, sostanzialmente, al caos.
Dall'altra parte, l'Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale. Siccome i politici di partito hanno portato il paese al quasi-collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto serie conseguenze globali, il paese è stato essenzialmente preso in mano da un piccolo numero di tecnocrati provenienti dall'ufficio del presidente della repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d'Italia. Il loro compito è di garantire la stabilità dell'Italia rispetto all'Europa e ai mercati finanziari, a qualsiasi costo. Finora questo è stato raggiunto mettendo da parte entrambi gli schieramenti politici e il parlamento al livelli senza precedenti, e con un onnipresente e costituzionalmente discutibile interventismo del presidente della repubblica, che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell'ordine repubblicano ancora ufficialmente parlamentare. L'interventismo del presidente è particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e dell'odierno governo Letta, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale.
Il punto è che, laddove i politici hanno fallito, i tecnocrati sperano di riuscire. L'illusione, che molti italiani stanno coltivando credendo che il presidente, la Banca d'Italia, e la burocrazia sanno meglio come salvare il paese, è ora molto diffusa. Resteranno amaramente delusi. La leadership corrente, sia tecnocratica che politica, non ha l'abilità, e forse neppure l'intenzione, di salvare il paese dalla rovina. Al contrario, sarebbe facile dimostrare che le politiche di Monti hanno esacerbato una recessione già severa. Letta sta seguendo esattamente la stessa strada. Ma tutto deve essere sacrificato nel nome della stabilità. I tecnocrati condividono lo stesso background culturale dei partiti politici, e sono riusciti a salire alle loro attuali posizioni in simbiosi con essi: di conseguenza è ingenuo pensare che otterranno risultati migliori, perché sono anche incapaci di avere alcuna visione di lungo termine per il paese. In effetti sono i garanti della scomparsa dell'Italia.
In conclusione, la rapidità del declino è davvero incredibile. Questo non è sicuramente esclusiva dell'Italia, dal momento che la maggior parte se non tutti i paesi occidentali stanno subendo terzomondizzazione rampante. Italia ha semplicemente meno “capitale” economico e sociale da bruciare rispetto alla Germania e ad altri paesi nordici. Ma deve essere chiaro che, continuando in questo modo, non resterà nulla dell'Italia come moderna nazione industriale in meno di una generazione. Ma già fra una decina d'anni intere regioni del paese, come la Sardegna o la Liguria, saranno già demograficamente così compromesse che potrebbero non riprendersi più.
I fondatori dello stato italiano 150 anni fa avevano combattuto fino alla morte nella speranza di riportare l'Italia in una posizione centrale quale miracolo culturale ed economico all'interno del mondo occidentale, come quella che occupava nel tardo medioevo e nel rinascimento. Quel progetto ora è completamente fallito, da una parte proprio con l'abbandono dell'idea culturale di avere ambizioni politiche significative aldilà della semplice amministrazione giorno per giorno, dall'altro con il messianico (ma di fatto insensato) universalismo teso a salvare il mondo anche a spese della propria comunità politica. A meno di un miracolo, ci potrebbero volere secoli per ricostruire l'Italia. Al momento, sembra una causa completamente persa.
Autore: Roberto Orsi / Traduzione dal sito della London School of Economics a cura di Mandragola / Fonte: perchiunquehacompreso.blogspot.it

Fonte: http://www.ecplanet.com/node/4036

Nessun commento:

Posta un commento