Sedriano è il primo Comune della regione sciolto per infiltrazioni mafiose, ma le inchieste dicono che il peso delle cosche si fa sentire su tante amministrazioni, dall’hinterland milanese alla Brianza
di Mario Portanova -
Sedriano è il primo Comune della Lombardia sciolto per mafia, ma non è certo l’unico su cui si siano addensati pesanti indizi di condizionamento da parte della cosche. Desio, in Brianza, è il trapianto “meglio riuscito” della ‘ndrangheta nel Nord Italia, si legge nelle carte dell’inchiesta Infinito del 2010, ed è la cittadina dove gli uomini dei clan sono arrivati a “permeare i gangli della vita politica comunale”. Spostandosi a sudovest di Milano, Buccinasco (altrimenti nota come Paltì Due) è la culla della criminalità calabrese in Lombardia: negli uffici comunali, ha documentato l’inchiesta Cerberus della Dda di Milano, è stato per anni ben noto il sostanziale mon0polio del clan Barbaro-Papalia nel movimento terra dei cantieri edili. E ancora c’è il caso di Bollate, sempre nell’hinterland milanese, dove Vincenzo Mandalari era uno dei più noti imprenditori edili della città e faceva incetta di lavori pubblici prima di finire in carcere, anche lui per fatti di ‘ndrangheta. Molte giunte comunali nel frattempo sono cambiate, a Desio e a Buccinasco ora governano quelli che fino a pochi anni fa denunciavano i rapporti locali tra mafia e politica. Inascoltati, soprattutto a Roma.
A Desio, già capitale del mobile alle porte della Brianza, l’inchiesta Infinito ha mosso un’onda lunga che nel novembre 2010 ha provocato la caduta della giunta Pdl-Lega, per troppi anni sorda alle denunce sul comitato d’affari politico-mafioso che spadroneggiava in città, soprattutto nel ricco business edilizio. Un ancora poco conosciuto Pippo Civati arrivò a chiedere lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose.
Buccinasco è una città simbolo della ‘ndrangheta in Lombardia, ma anche un satellite residenziale di Milano in grande espansione urbanistica. Il clan Papalia, originario di Platì e radicato nella cittadina dell’hinterland sudovest ormai da diversi decenni, è stato a lungo il punto di riferimento più autorevole della ‘ndrangheta lombarda, e protagonista del grande traffico di droga fino agli arresti dell’operazione Nord Sud nei primi anni Novanta. Oltre a eroina e coca, fin da allora la specializzazione della famiglia era l’edilizia, ramo movimento terra. Nel 2008 l’inchiesta Cerberus condotta dalla Dda di Milano ha indicato nel gruppo Barbaro-Papalia il monopolista del movimento terra in tutto il circondario. Il processo ha avuto una storia tormentata, ma dalle testimonianze – spesso molto “faticose” – rese in aula da diversi imprenditori edili che avevano lavorato nei cantieri di Buccinasco e dintorni è emerso chiaramente che il ruolo di monopolista del clan era ben noto in Comune. “Il capo dell’ufficio tecnico di Buccinasco sa benissimo che l’attività di movimento terra nell’area di Buccinasco, Assago e Corsico è monopolio di alcune famiglie calabresi, indipendentemente dalle ditte alle quali vengono formalmente assegnati”, si legge nell’ordine di custodia cautelare di uno dei tronconi dell’inchiesta.
Nel 2003 il giovane Salvatore Barbaro, indicato dagli investigatori come il vero erede del capoclan detenuto Rocco Papalia, ottiene dal Comune il pagamento di 40mila euro, con tanto di doppia delibera, per lavori nel parco “Spina verde” che erano stati formalmente assegnati a un altro imprenditore. Il sindaco Maurizio Carbonera racconterà al processo di una riunione tra Barbaro, l’ex sindaco Lanati, il capo dell’ufficio tecnico e l’imprenditore che aveva ufficialmente ottenuto l’appalto. Questi ultimi ne uscirono “tesi e spaventati”. Ma a Buccinasco era meglio non parlare di mafia, il prezzo al metro quadro dei palazzi sorti da quegli stessi cantieri andava preservato. Campione di negazionismo è stato il penultimo sindaco Loris Cereda, Pdl, poi arrestato e attualmente sotto processo per corruzione.
Quanti affari tra i boss e le amministrazioni comunali del Nord (consapevoli o meno). Lo ricorda nero su bianco Vincenzo Mandalari, in una lettera inviata dal carcere al Comune di Bollate, che si era costituito parte civile contro di lui nel processo Infinito. Forse l’amministrazione “ha dimenticato le azioni da me svolte a favore del territorio bollatese o quando mi acclamava come impresa bollatese e come persona sempre presente per la solidarietà”, scrive Mandalari il 30 settembre 2011. Non sono millanterie: prima di finire dietro le sbarre, dopo un periodo di latitanza, l’imprenditore originario di Guardavalle (Catanzaro) era davvero un uomo in vista. Nel 2008 pensa anche di scendere in campo di persona, con una lista civica insieme a un consigliere comunale di Sel, Francesco Simeti. Solo che le elezioni non sono in programma. Dalle intercettazioni emergono le manovre di Mandalari per provocarle, facendo cadere la giunta. “Prima riusciremo a mettere in piedi una lista seria”, dice Simeti a Mandalari in una conversazione intercettata in macchina, “prima riusciremo a governare questa città in modo diverso”. L’obiettivo, secondo gli inquirenti, è ottenere più commesse pubbliche. Anche la ‘ndrangheta, a volte, scioglie i Comuni. O almeno ci prova.
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