venerdì 17 gennaio 2014

L’inesorabile declino industriale dell’Italia (Ercole)

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Continua la svendita delle nostre aziende alle multinazionali straniere
 Un popolo di imprenditori, un Paese disseminato di imprese. Questa era l’Italia.  Le imprese ci sono ancora ma la proprietà è ormai in mani straniere. Un fenomeno  che riguarda molti nomi storici che facevano risaltare il made in Italy. Così,  dal 2008 al 2012, sono stati ben 437 i marchi italiani che sono stati venduti.  Dalla Lamborghini all’Algida, per una spesa di circa 55 miliardi di euro.
Marchi  d’eccellenza nati e sviluppati in Italia, il simbolo stesso della nostra  migliore produzione artigianale, che hanno attraversato momenti di successo e di  crisi, e che hanno cambiato proprietà e bandiera. Una deriva che ha investito  tutti i comparti produttivi, come alimentari e bevande, automazione-meccanica,  abbigliamento-moda e arredamento e prodotti per la casa. Il rapporto  dell’Eurispes sottolinea che molte delle nostre migliori realtà imprenditoriali  sono state schiacciate dalla congiuntura economica negativa, da una  iperburocratizzazione della macchina amministrativa, da una tassazione iniqua,  alla mancanza di aiuti e di tutele e dall’impossibilità di accesso al credito  bancario. L’intreccio di tali fattori ha inciso sulla mortalità delle imprese  creando una sorta di mercato malato all’interno del quale la chiusura di realtà  imprenditoriali importanti per tipologia di produzione e per conoscenze  tecnologiche (il know how) si è accompagnata spesso a una svendita (prima o dopo  la chiusura) che si è resa necessaria di fronte all’impossibilità di proseguire  l’attività e per salvare i vecchi proprietari da conseguenze patrimoniali  personali. Per il sindacato, dentro l’attuale sistema finanziario sempre più  immateriale e senza patria, è ancora più arduo ricostruire l’origine e i  percorsi dei capitali impiegati e dei vari interessi che ad essi sono  riconducibili. Una cosa è però sicura: questi interessi, il più delle volte, non  corrispondano a delle vere vocazioni imprenditoriali, ma funzionano secondo la  logica del massimo profitto nel breve termine.
Il tragico è che la svendita  del nostro sistema produttivo ci impoverisce sia dal lato economico, poiché  siamo costretti a vendere a un prezzo inferiore a quello reale. Sia perché  perdiamo attività patrimoniali e imprenditoriali  che sono di difficile  quantificazione economica. Infatti, con la svendita a soggetti esteri, vengono  meno la tradizione, l’esperienza e la storia presenti in ciascuna delle aziende  svendute. C’è poi il problema occupazionale. Una volta acquistata un’azienda che  prima operava in Italia, diventa spesso  più conveniente delocalizzare la  produzione in Paesi con minor costo del lavoro, con meno burocrazia e con  normative più elastiche di quelle italiane in materia di sicurezza sul lavoro e  di tutela della salute dei consumatori.  Si perde così una nutrita schiera di  personale specializzato e crolla inevitabilmente il livello di qualità del  prodotto.

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