lunedì 9 dicembre 2013

Un italiano su tre vive alle soglie dell’indigenza, Inps ed Eurostat lanciano l’allarme: in 18 milioni rischiano la povertà.

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La metà, di questo 30% di popolo italiano che vive ai limiti della povertà, è costituita da pensionati.
Questi ultimi, infatti, dopo aver pagato le tasse per una vita, si trovano, in (quasi) un caso su due (45,2%), a percepire una pensione al di sotto dei mille euro. In questa fascia, oltre due milioni (14,3%) non arrivano neppure a cinquecento. Nel restante 15% c’è un po’ di tutto: operai, disoccupati, cassintegrati, imprenditori falliti. Ma anche nuovi poveri insospettabili: avvocati, ingegneri, commercialisti.
La crisi non ha fatto certo sconti, a niente e a nessuno. E’ franato il potere d’acquisto degli italiani, perdendo 9,4% punti percentuale negli ultimi 5 anni (il 4,8% negli ultimi due). Il numero dei dipendenti pubblici è in picchiata, con una emorragia di 130.000 unità solo nell anno scorso (-4%). 

Allo scenario tracciato dal bilancio sociale annuale dell’Istat, si somma, peraltro, l’allarme lanciato dall Ue sul rischio  povertà ed esclusione sociale: nella zona euro, l’Italia è dopo la Grecia attestandosi al 29,9% (34,6% in Grecia), secondo gli ultimi dati Eurostat  2012. Nel caso italiano, questo rischio coinvolgerebbe 18,2 milioni di cittadini, la cifra più alta d’Europa in termini assoluti.  L Inps non ha esitato a definire il 2012 come l anno che «sarà ricordato tra i più critici per l economia e la società italiana». La società italiana in crisi su tutti i fronti anche quelli dei redditi e dell occupazione.
Anche le cifre complessive dell Europa non lasciano ben sperare, sono state infatti 124,5 milioni le persone dell Ue che nel 2012 erano a rischio  povertà o esclusione sociale. Ovvero il 24,8% dell’intera popolazione. Un numero in crescita rispetto al 24,3% del 2011 e al 23,7% del 2008. Più in dettaglio, emerge che le percentuali più elevate di persone povere si registrano in Bulgaria (49%), Romania (42%), Lettonia (37%) e Grecia. Il minor numero, nei Paesi Bassi e nella Repubblica Ceca (entrambe 15%), Finlandia (17%), Svezia e Lussemburgo (entrambe 18%).

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