Quanta miopia, Viola non aveva capito che le interviste e le esternazioni di Giovanni Falcone, completamente abbandonato dallo Stato, non erano da ricondursi a protagonismo, bensì all’intuito, all’aver compreso la necessità di rivolgersi ad una platea la più vasta possibile, per tenere alta l’asticella dell’attenzione dell’opinione pubblica sui pericoli del cancro mafioso.
E la storia si ripete.
Non basta l’assordante silenzio delle massime istituzioni su Nino Di Matteo, non una parola di solidarietà verso il magistrato da parte di Napolitano, Boldrini e dell’ex collega Piero Grasso. L’unica, lunare dichiarazione da parte del Guardasigilli amica di Ligresti “Non si ravvisano elementi di minacciacontro i magistrati impegnati nel processo sulla trattativa Stato-Mafia”.
Dove vive Anna Maria Cancellieri? E perché lo Stato, ammettendo la sua vergognosa impotenza, ha offerto a Nino Di Matteo un blindato per i suoi spostamenti?
Ovvio che il magistrato abbia sdegnosamente rifiutato l’offerta ridicola del Lince, simbolo della pochezza delle Istituzioni, prestandosi però, nel caso dovesse verificarsi l’irreparabile a scuse del tipo “Erano state predisposte misure di sicurezza eccezionali, purtroppo rifiutate”.
Delegittimare, isolare, eliminare. Questa la prassi abituale contro i magistrati scomodi, che si sta ripetendo nei confronti dei magistrati siciliani, senza cambiare una virgola e nel disinteresse più assoluto.
Adesso come allora è iniziata una campagna stampa contro i pm palermitani e in particolare contro Nino Di Matteo. La penna non è più quella di Sandro Viola, ora tocca a Filippo Facci partire lancia in resta, prima sulle pagine di Libero, “Le minacce a Di Matteo non sono certe manco per niente: gli stessi giornali che hanno montato il caso ammettono che «si sa poco» e citano delle frasi genericissime di Totò Riina, intercettato in carcere”, a proposito di stravolgere la realtà.
Ma in televisione Facci sfodera il meglio del suo repertorio andando addirittura a rispolverare il falso pentito Scarantino e i depistaggi di via D’Amelio. E qui taccia di incapacità, se non peggio, gli inquirenti, Anna Maria Palma e Nino Di Matteo, che caddero in una trappola architettata da altri uomini delle istituzioni, come se i colpevoli fossero loro e non i depistatori che quella trappola l’avevano ordita.
Ora è chiaro che Totò Riina ha paura e fa paura, il processo sulla trattativa Stato-mafia preoccupa colletti che stavolta potrebbero essere bianchissimi e che hanno innescato l’improvvisa loquacità del vecchio boss, al quale non è parso vero poter lanciare segnali e messaggi a destinatari precisi e magaririaprire un dialogo interrotto dalla sua cattura.
Ma è un gioco molto pericoloso, adesso come nel 1992, tra le parti ci sonoagnelli sacrificali, i magistrati che non intendono arretrare di un passo nella ricerca della verità. Adesso come allora ignorati, quando non attaccati, da chi attorno a loro dovrebbe fare quadrato.
Con un’unica e speriamo sostanziale differenza, l’intera società civile si è schierata accanto a Nino Di Matteo e ai suoi colleghi, è scesa in piazza a manifestare la propria solidarietà e questo dovrebbe rendere le cose un po’ più complicate alla parte malata del Paese.
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