Santiago Alba Rico Σαντιάγκο Άλμπα Ρίκο سانتياغو البا ريكو
Tradotto da Francesco
Giannatiempo
Parlando della tragedia di Lampedusa, c’è poco da aggiungere
ai lamenti ipocriti delle autorità europee e alle giustissime denunce degli
attivisti, delle organizzazioni e dei migranti. Anni fa, il teologo costaricano
di origine tedesca, Franz Hinkelammert,
riassunse in due parole questa routinaria abbondanza di cadaveri raccolti nei
mari e nei deserti nelle frontiere d’occidente: “genocidio strutturale”.
L’idea di “genocidio strutturale”, certamente implica
un’accusa: le strutture non si impongono da sole, bensì necessitano di
decisioni politiche che le facciano funzionare; decisioni politiche che,
eventualmente, potrebbero disattivare. Quando una struttura alla propria fonte
è incompatibile con la Dichiarazione dei Diritti Umani e con la più elementare dignità
umana, le decisioni che vengono prese per tenerla in attività acquisiscono
un’aura necessariamente truculenta, un’ aria di ludica crudeltà infantile, la
forma di un grande sbadiglio nichilista. Penso che Barroso e Letta non avranno
gradito di venire ricevuti a Lampedusa al grido di “assassini”. Non si sentono
“assassini”e, probabilmente, la pila di cadaveri accumulati ai loro piedi gli
trasmette un orrore sincero. Ma devono ingoiare gli insulti e i rimorsi di
coscienza rispondendo in modo responsabile ai propri compromessi con la
“struttura”. Compromessi da cui, in certa misura, dipendono anche i voti dei
loro elettori.
Carlos Latuff
La verità è che le misure prese dall’UE e dal governo
italiano trasformano i nostri governanti in una specie di disegnatori
fantasiosi di gincane infantili, o meglio, di avvincenti concorsi televisivi.
Evitiamo di essere più pietosi di loro! Aumentare il finanziamento per i CIE,
rafforzare la sorveglianza nel Mediterraneo e concedere la nazionalità ai morti
-mentre si continua a perseguitare i sopravvissuti – ci conviene ed è per altro
divertente, giacchè trasforma i movimenti migratori nel più costoso sport
estremo del mondo: pagate migliaia di euro per l’iscrizione, oh giovani
avventurieri, e lanciatevi in mare mille volte schivando tempeste e
motovedette; se toccate terra vivi, come nel gioco dell’oca, vi riporteremo al
punto di partenza; come nel gioco dell’oca, vi chiuderemo in prigione e vi
obbligheremo ai lavori forzati clandestini; come nel gioco dell’oca, esposti a
ogni genere di spregio e abuso. E non si può vincere? Come si vince in questa
gara? Morendo! Se morite sulle nostre spiagge, giovani avventurieri, un dolce
velo di pietà universale coprirà i vostri corpi e riceverete, inoltre, il
grande premio, il sogno finalmente compiuto, la grande ambizione della vostra
vita alla fine soddisfatta: la nazionalità italiana.
Questo macabro gioco, ovviamente, ha a che fare con la
“struttura”. Ha a che fare, come dice Eduardo Romero citando Marx, con il
nostro “desiderio appassionato del lavoro più economico e servile” - una scelta
“negriera”- e con il nostro scarso rispetto per le frontiere altrui: intervento
economico in nazioni saccheggiate, accordi con dittatori e violazione fisica
della sovranità territoriale. Una buona parte delle vittime di Lampedusa, per
esempio, provenivano dalla Somalia, nelle cui acque le navi di noi europei
depositano scorie inquinanti e rubano il tonno per le nostre tavole. Non
dimentichiamo che, mentre decine di somali morivano affogati sulle coste
italiane, un tribunale spagnolo giudicava di pirateria alcuni ex-pescatori di
questo ex-paese africano”.
Però, quest’idea di premiare i morti con la nazionalità
postuma - mentre si puniscono i vivi per essere sopravvissuti – comporta una
dichiarazione di guerra e un malinteso razzista. A questi giovani che credono
nella libertà di movimento e nel diritto a una vita migliore, gli si sta
dicendo che saranno accettati e integrati in Europa solamente una volta morti,
come cadaveri gonfiati dall’acqua, e soltanto se muoiono alla vista di tutti e
in numero sufficiente per non poter essere nascosti sotto il tappeto. Vi
vogliamo morti. O, parafrasando un vecchio detto: l’unico immigrante buono,
l’unico immigrante assimilabile è l’immigrante morto.
Al contempo, il premio della nazionalità postuma è un atto
di propaganda razzista, che presuppone e induce l’illusione che i somali, gli
eritrei e i siriani naufragati a Lampedusa vogliano essere italiani. In un
momento in cui ci sono più italiani - e spagnoli – che non vogliono più essere
italiani – e spagnoli – e che abbandonano per forza il proprio paese, i morti
di Lampedusa – vincitori di questa gincana nichilista – illuminano una falsa
Italia (o Spagna) desiderabile, appetibile, ricca e democratica, alle cui bontà
aspirerebbero milioni di persone di tutto il mondo.
È una menzogna: non vogliono essere italiani (o spagnoli).
Uno dei giornalisti che ammiro di più – l’italiano Gabriele del Grande – sono
anni che conta, soprattutto, dà un nome alle vittime di questo “genocidio
strutturale”. Mamadou và a morire è l’eloquente titolo di uno dei suoi libri.
Orbene, dopo il massacro di Lampedusa, Del Grande ricordava alcuni dati
elementari: che la maggior parte degli immigranti non entrano via mare; che
molti di loro hanno provato a entrare prima attraverso la via legale; che sono
molti di più quelli che escono di quelli che entrano; e che, in effetti,
l’unica forma di fermarli è ucciderli (all’origine, durante il viaggio o a
destinazione). E si lamentava con amarezza del ruolo dei mezzi di comunicazione
che li trattano, al pari dei politici, come meri “oggetti” di un dibattito o di
un’immagine, in modo che “i veri protagonisti” – i migranti vivi e quelli morti
– non abbiano alcuna voce, né un nome, né una ragione. Del Grande, che ha
viaggiato e condiviso con loro lavori e piaceri, descrive questa ostinazione di
tanti africani ad attraversare le nostre frontiere come “il maggior movimento
di disobbedienza civile contro le leggi europee”. E considera che “se un giorno
tornasse la pace nel Mediterraneo e ci fosse libera circolazione, i morti di
oggi si trasformerebbero in eroi di domani e si scriverebbero romanzi e si
farebbero film su di loro e sul loro coraggio”.
Non vogliono essere italiani nè spagnoli nè greci. Conservano
i propri legami affettivi e culturali. E lo fanno con molto orgoglio, come
dimostrano le rimesse inviate ai paesi d’origine (o il fatto che siano le
famiglie che risparmiano il denaro che permetterà al più giovane e coraggioso
dei propri membri pagare il mafioso locale e imbarcarsi per l’Europa). Non
vogliono essere italiani né spagnoli né greci, sebbene sì vogliono avere alcuni
dei diritti che gli italiani e gli spagnoli e i greci sono sul punto di
perdere. Reclamano il diritto di andare e venire e il diritto di rimanere nelle
proprie abitazioni: a viaggiare e a non viaggiare, a lavorare, ad avventurarsi,
a conoscere altri luoghi, ad amare altra come la propria gente. Non sono
diversi da noi e, se a volte hanno una vita molto più difficile, sono pure più
valorosi, più “intraprendenti”, più vitali, più capaci e meno cinici.
Può essere che esistano buone ragioni – economiche ed
ecologiche – affinchè si limitino i flussi; ma, allora bisogna che cominci per
le merci e per i turisti: si muovono molto più gli europei degli africani, e
con un costo molto più alto. E ad ogni modo, il diritto universale al
movimento, che implica anche il diritto a non muoversi e il diritto a
ritornare, non lo si può applicare in maniera selettiva con criteri etnici,
razziali o culturali, e meno lo si può imporre o proibire con la forza.
Qualunque siano gli alibi “strutturali”, mai l’Europa potrà pretendere di
essere democratica e illuminata, mentre l’omissione di soccorso, la scelta
“negriera”, il finanziamento di campi di concentramento e la criminalizzazione
della semplice sopravvivenza costituiscono la normalità antropologica e
giuridica delle proprie popolazioni e delle proprie leggi.
Il Mediterraneo unisce le coste e separa i suoi abitanti.
Non lasciamoci ingannare dalla tragica immagine di questa fessura piena di
acqua e di morti; nemmeno dalla direzione dei flussi umani. Il nord e il sud
del Mediterraneo si somigliano sempre di più. Mentre abbiamo l’impressione che
siano loro a venire verso di noi, in realtà siamo noi ad andare verso di loro.
Molto in fretta. E converrebbe che, da entrambi i lati, insieme si trovasse una
soluzione, e che diventiamo volontariamente un po' africani, prima che i nostri
governi inizino ad applicare le leggi sugli stranieri - come già inizia a succedere – ai propri
cittadini. Stranieri, terroristi, poveri, malati: Spagna -e Italia e Grecia -
si stanno riempiendo di spagnoli postumi; vale a dire, di spagnoli virtualmente
morti.
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