DI ANDREA PERRONE
ilribelle.com
Non tutto fila liscio nell’economia della cosiddetta
locomotiva d’Europa: le crepe si fanno evidenti e il timore che tutto sia
destinato a crollare per colpa dell’austerità imposta proprio da Berlino sembra
diventare una realtà ineludibile già in seno ai governi dei Länder tedeschi.
Nel dicembre del 2012, i leader di 25 Paesi membri
dell’Unione europea hanno sottoscritto il “Patto di Bilancio europeo” (Fiscal
Compact), particolarmente vincolante, voluto a tutti i costi dal cancelliere
tedesco Angela Merkel e dagli eurocrati di Bruxelles, affinché gli Stati
europei diminuissero il loro deficit in nome della tanto decantata austerità,
portatrice soltanto di recessione e disoccupazione. Il Patto è un vero e
proprio trattato Ue, entrato in vigore il 1° gennaio 2013, che non è stato però
sottoscritto dal Regno Unito e dalla Repubblica Ceca.
Il Patto si prefigge due punti fondamentali, che riguardano
l’abbattimento del debito: il rapporto tra deficit (debito pubblico) e Pil di
ogni Stato membro deve essere portato a livelli sostenibili. Si ritiene che il
rapporto deficit/Pil debba essere pari al 60% o meno. Gli stati membri si sono
impegnati a raggiungere questo obiettivo nell’arco di 20 anni, riducendo dunque
di un 5% annuo il proprio indebitamento. Il periodo di attuazione sembra lungo
ma è pur sempre troppo oneroso nei costi e, ad esempio, per un Paese come
l’Italia questo significa comunque un impegno troppo duro da poter ottemperare.
L’altra regola prevede il pareggio di bilancio, che complica ulteriormente la
situazione per il vincolo richiesto dall’articolo 3 del Trattato di inserire
nella Costituzione di ogni Stato membro l’impegno a mantenere il pareggio di
bilancio. A parole sembrerebbe un fatto positivo e virtuoso, ma gli effetti
concreti potrebbero essere molto negativi. Pareggio di bilancio, ovvero parità
tra entrate e uscite di uno Stato, significa che ad ogni investimento fatto
(per costruire ad esempio scuole, ospedali, strade, ferrovie) deve
corrispondere almeno un pari importo in entrata di tasse. Una meta difficile da
perseguire e di estremo rigore che rischia di far peggiorare la situazione in
tutti i Paesi dell’Eurozona: Germania compresa.
E se Atene piange Sparta non ride. Tant’è che ora perfino i
tedeschi, appunto, temono il peggio. E a ragione.
In Germania, il “freno all’indebitamento” entrerà in vigore
a partire dal 2019, quando lo Stato federale e le regioni (Länder) saranno
ancora più vincolati dal punto di vista legislativo affinché evitino di
contrarre nuovi debiti e quindi a risparmiare il più possibile, ovvero
austerità anche nella terra della Merkel, distruzione di quel poco che resta
dello Stato sociale e allo stesso tempo recessione per lo Stato più ricco della
Ue.
La Germania è, come noto, in una posizione migliore rispetto
all’Italia e ad altri Stati membri Ue sia nel deficit sia per quel che riguarda
il debito, in particolare rispetto ai suoi alleati dell’Europa meridionale.
Tuttavia il governo federale ha ancora un debito pari al 75 per cento del
Prodotto interno lordo, ben al di sopra della soglia del 60 per cento sancito
dalle regole formulate dalla Ue. E per questo nei Länder e a più livelli, anche
nelle città, molti temono che saranno proprio loro che alla fine dovranno
pagare il conto del bilancio esemplare della Germania. In altre parole i
tedeschi preferiscono far stringere la cinghia agli altri, ma non a se stessi.
Ulrich Maly, sindaco socialdemocratico di Norimberga, ha
dichiarato ai giornalisti, durante un incontro a Berlino il 1° ottobre scorso,
che sempre più compiti vengono spostati dal livello federale e regionale a
livello locale, ma senza alcun finanziamento aggiuntivo. «Il governo federale è
sotto una grande pressione dall’esterno. Immaginate se lo Stato tedesco non
dovesse accettare il freno all’indebitamento che ha obbligato invece altri a
subire. Come faranno allora Spagna o altri ad attenersi a questo?», ha
commentato a ragione Maly. Quale leader dell’associazione che rappresenta 3.400
città tedesche, il sindaco socialdemocratico ha presentato una serie di
richieste al prossimo governo, sottolineando l’ingiusto onere di dover ridurre
il deficit di bilancio e il debito del Paese.
Con il welfare – per l’integrazione e il sostegno delle
persone disabili o per gli asili – che costano più della metà dei bilanci di
tutte le città, la domanda che ci porremo, ha chiosato il primo cittadino,
sarà: «Che tipo di Paese vogliamo?». «Il freno sul debito – ha proseguito il
sindaco di Norimberga – sarà collocato
al centro delle scelte politiche. Sarà un problema riguardo a ciò che potremo
permetterci di fare, qualora non dovremo fare nessun altro debito. Vogliamo
l’inclusione delle persone disabili – che costerà diversi miliardi di euro –
oppure abbandoneremo anche questo diritto umano?». Temi non da poco, come si
vede.
Nel frattempo, Eva Lohse, sindaco di Ludwigshafen e membro
dell’Unione cristiano-democratica (CDU), partito a cui appartiene anche la
Merkel, è intervenuta sostenendo le preoccupazioni del suo collega riguardo
alla scadenza prevista per il 2019, anno in cui entrerà a pieno regime il
Fiscal Compact.
«Possiamo avere dei buoni flussi di entrate dalle tasse, ma
oltre il 50 per cento della nostra spesa va avanti nei programmi sociali che
sono stati decisi a livello federale», ha sottolineato. Ludwigshafen è del
resto tra le prime dieci città più indebitate della Germania. Il sindaco ha
avvertito che il municipio non ha praticamente più soldi per i progetti infrastrutturali.
«Ridurre il deficit e il debito in realtà significa che qualcun altro lo stia
facendo, non che il compito è andato a buon fine. Quindi chi lo fa deve anche
avere il finanziamento giusto per quest’ultimo. Abbiamo ponti fatiscenti giù
nel bel mezzo delle nostre città ...
Tutto ciò è inaccettabile», ha tuonato la Lohse.
Nel frattempo fervono i preparativi per la nascita del nuovo
esecutivo. I colloqui preliminari per l’avvio di una nuova coalizione di
governo tra cristiano-democratici della Merkel e socialdemocratici sono in
programma per oggi (venerdì 11 ottobre, N.d.R.) e prevedono come al solito
aumenti fiscali, ovvero una delle questioni più spinose che dovranno affrontare
i futuri alleati della Grosse Koalition.
Il cancelliere mantiene le porte aperte della coalizione
anche ai Verdi, che incontrerà nei prossimi giorni. Le trattative dovrebbero
andare avanti per alcune settimane. Tanto che, lunedì scorso, il segretario
generale dei socialdemocratici Andrea Nahles ha ricordato che il nuovo governo
potrà formarsi al massimo entro il gennaio del 2014. Un po’ tardi per i
problemi che la Germania deve affrontare molto rapidamente.
Ma la crisi avanza inesorabile e oramai sta raggiungendo
anche il cuore d’Europa, la famosa
locomotiva, con poche chance di evitarla ma soprattutto di sopportarne i forti
contraccolpi sociali.
Andrea Perrone www.ilribelle.com
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