mercoledì 22 ottobre 2014

007 italiani hanno addestrato militanti sunniti poi passati con ISIS


In due campi di Giordania e Turchia uno staff di dodici agenti ha partecipato alla formazione dei ribelli anti-Assad. Che poi sono andati con lo Stato Islamico.
Recentemente il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha affermato pubblicamente che il nuovo pericolo denominato Emirato Islamico, ossia l’ISIS (o Daesh, ndr) è anche figlio di una serie di sottovalutazioni fatte dall’intelligence Usa e, più in generale, di tutto lo staff della Casa Bianca incaricato di occuparsi del comparto difesa e sicurezza.

Da parte sua Hillary Clinton, dopo aver rimproverato Obama sostenendo che ISIS si è rinforzato perché non è stata sostenuta e armata abbastanza l’ala moderata e laica dei ribelli anti-Assad, ha detto che l’Esercito Islamico è ormai pronto non solo a combattere in Siria o Iraq, ma a colpire in Europa e negli Stati Uniti.
In America almeno se ne parla. In Italia molto meno, Anzi non se ne parla affatto. Perché forse, almeno per la parte grande o piccola che compete ai governi che si sono succeduti negli ultimi anni e all’intelligence di Roma, errori e sottovalutazioni sono state fatte, ma sono state altrettanto abilmente mascherate e sottratte al dibattito pubblico e parlamentare.
Meglio entrare nel dettaglio: seguendo passivamente la linea degli Stati Uniti di fomentare le formazioni sunnite, soprattutto in chiave anti-Assad, gli 007 italiani hanno finito, nel corso dell’ultimo anno e mezzo, per addestrare miliziani islamisti sunniti che, nei mesi successivi, sono passati armi e bagagli con lo Stato Islamico o ne sono diventati fiancheggiatori e simpatizzanti.
Per entrare più nel dettaglio vanno raccontati alcuni particolari di questa operazione segreta che va avanti da tempo: in due campi di addestramento – uno in Giordania e uno in Turchia – sono stati inviati due team dell’AISE (il servizio segreto estero) con l’incarico di dare sostegno alle formazioni anti-Assad. Un incarico in qualche modo conseguente all’impegno preso sul finire dal governo Monti quando – siamo nel febbraio del 2013 – l’allora ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Santagata sostenne che l’Italia avrebbe fornito “aiuti militari non letali” al frammentato fronte dell’opposizione armata siriana. Traduzione: assistenza tecnica, formazione, addestramento.
Da allora – e, a quanto risulta, fino a tempi assai recenti – dodici agenti dei nostri servizi italiani, sei in Turchia e sei in Giordania, hanno addestrato i miliziani sunniti. Una turnazione ininiterrotta: 12 agenti per 30-40 giorni sul campo che poi rientravano in Italia per essere sostituiti da un secondo staff di egual numero.
Come è noto, però, dal febbraio del 2013 ad oggi le cose non sono andate esattamente come promesso dalle teste pensanti di Bruxelles e da qualche settore poco avveduto dell’intelligence: lo Stato Islamico è andato via via crescendo e ha incorporato nelle sue fila gran parte delle formazioni sunnite. Tra questi non pochi erano passati per i campi di addestramento dove avevano operato come istruttori e consiglieri gli agenti segreti italiani e, a dire il vero, non solo italiani.
Come dire: armare il sedicente amico, che poi è destinato a diventare il nemico da combattere.
Non è la prima volta: quando l’Italia inviò in Cirenaica le armi per sostenere la rivolta anti-Gheddafi, non aveva immaginato (come avrebbe dovuto) che quelle armi sarebbero finite nelle mani delle milizie islamiste. Le stesse che ancora oggi tengono sotto scatto Bengasi e tante altre città della Libia “democratica”. Per non parlare dei poliziotti afghani addestrati ed equipaggiati (in questo caso dagli americani) che poi finito il corso e armati di zecca, invece di andare nei luoghi loro assegnati si ricongiungevano ai talebani o ai gruppi loro alleati e, facendo tesoro dell’esperienza fatta, diventavano i capi di formazioni armate anti-Occidentali.
Nel caso dell’Italia, che si è accodata agli Stati Uniti, l’errore è risultato evidente: non aver previsto le capacità di crescita dell’Esercito Islamico e aver sottovalutato il senso di frustrazione delle comunità sunnite, soprattutto in Iraq, contro il governo a guida sciita. Proprio l’appoggio di quei gruppi – chiamiamole pure tribù – è risultato decisivo per il salto di qualità di ISIS: quanti sono passati per i campi turchi e giordani e sono stati addestrati dagli 007 italiani e di altri paesi occidentali? Tanti. Troppi. Vicenda imbarazzante, soprattutto ora che il Consiglio supremo di Difesa sostiene che l’ISIS è un grande pericolo.
Del resto, a quanto risulta, nei primi mesi del 2014 il capo dell’intelligence curda (perché i curdi hanno un vero e proprio servizio di intelligence) aveva trovato il modo di far recapitare all’intelligence italiana una lettera o, quantomeno, un messaggio in cui si parlava di un certo Abu Bakr Al-Baghdadi che si stava rafforzando e che presto sarebbe diventato un temibile pericolo per tutti. Nessuno sa quale sia stato l’esito dell’allarme curdo. Ma nel frattempo ISIS è diventata ciò che è diventata, il gioco delle tre carte di alcuni servizi segreti si è rivelato dannoso e siamo in “guerra” contro un nemico che abbiamo contribuito a far crescere quando si riteneva potesse tornare utile: così fu per Al Qa’ida, così per i talebani che combattevano i sovietici, così per gli islamisti libici, così per i sunniti poi passati con Isis. A dimostrazione che un conto è leggere Machiavelli, un altro conto è essere sopraffatti da un machiavellismo d’accatto.
Battista, segretario commissione Difesa del Senato: il Parlamento discuta. Il senatore Lorenzo Battista, segretario della Commissione Difesa ed esponente del Gruppo per le Autonomie, ha commentato il retroscena raccontato da Globalist sull’addestramento di gruppi islamisti che poi sono diventati fiancheggiatori dello Stato Islamico. “Da circa un anno e mezzo due team dell’AISE operano in Giordania e Turchia dove hanno addestrato miliziani sunniti, successivamente passati nelle fila dell’ISIS che ha assorbito al suo interno gran parte delle formazioni islamiste”.
Ha aggiunto: “Secondo quanto ha rivelato Globalist l’Italia ha contribuito, seppur indirettamente, a fomentare quel rischio terrorismo che oggi è presentato come una delle più gravi minacce per il paese. Occorre fare chiarezza e aprire una discussione franca in Parlamento e nel paese sulle nostre strategie degli ultimi anni sui teatri di crisi”.
“Il Consiglio supremo di Difesa ha solo pochi giorni fa ribadito il rischio terrorismo che corre anche il nostro paese. Di fronte alla gravità della situazione sono necessarie scelte ponderate che – ha concluso il senatore – contribuiscano alla soluzione dei conflitti e non ad alimentare ulteriore caos”.

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