mercoledì 15 gennaio 2014

Perché Cina e Giappone sono sull’ orlo di una guerra ?

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Lo scontro geopolitico in atto tra l’ economia più forte al mondo cinese e il rinato spirito imperiale giapponese ha subito, nei primi giorni del nuovo anno, una decisa e preoccupante accelerazione. Non solo il contenzioso aperto in merito alla sovranità sulle isole Senkaku, dove lo scorso martedì si è sfiorato lo scontro aperto, ma nuove dispute territoriali e il succedersi di provocazioni diplomatiche rischiano di far precipitare, ad ogni momento, la situazione.
Il continuo precipitare dei rapporti bilaterali tra Cina e Giappone sull’onda del riassetto strategico degli Stati Uniti in Asia orientale ha fatto registrare nei primi giorni del nuovo anno una serie di iniziative e scambi di accuse reciproche che rischiano di far precipitare la situazione in qualsiasi momento. Questa settimana, ad esempio, il governo ultra-conservatore di Tokyo ha annunciato di volere registrare 280 isole al largo delle proprie coste come “proprietà dello stato”, ufficialmente per migliorarne la gestione.

Anche se l’elenco non è stato ancora reso noto, la mossa del premier Shinzo Abe solleverà probabilmente le ire almeno di Cina e Corea del Sud, due paesi che hanno una serie di dispute territoriali con il Giappone. Per cercare di gettare acqua sul fuoco, la segreteria per le Politiche Oceaniche e Territoriali nipponica ha fatto sapere che le isole in questione sono tutte all’interno delle acque territoriali del Giappone, mentre nessuna di esse rientrerebbe tra quelle al centro di dispute con altri paesi.
Tokyo e Pechino, in particolare, sono da tempo ai ferri corti circa la sovranità sulle isole Senkaku (Diaoyu in cinese) nel Mar Cinese Orientale, già nazionalizzate dal precedente governo giapponese di centro sinistra nel settembre 2012 nonostante le proteste cinesi.
Proprio nei pressi delle isole Senkaku, martedì è stato sfiorato un grave scontro tra i due paesi, quando il governo giapponese ha fatto alzare in volo aerei da guerra in seguito all’ingresso nella propria “zona di identificazione per la difesa aerea” (ADIZ) di un velivolo civile cinese. Quest’ultimo non aveva comunque sconfinato nello spazio aereo nipponico vero e proprio ed ha infine fatto rotta verso la Cina.
Un significativo innalzamento delle tensioni in Estremo Oriente era stato registrato nel mese di novembre, quando Pechino aveva deciso di creare una propria “zona di identificazione per la difesa aerea” nel Mar Cinese Orientale coprendo anche le isole contese al Giappone. In quell’occasione, erano stati i giapponesi, assieme agli Stati Uniti e alla Corea del Sud, a condannare la mossa della Cina e Washington, in segno di provocazione, aveva fatto volare dei B-52 con dotazioni nucleari all’interno della neonata ADIZ di Pechino senza darne notifica alle autorità.
Gli episodi più recenti si inseriscono inoltre in una diatriba scatenata dalla visita avvenuta il 26 dicembre del premier Abe al santuario scintoista Yasukuni di Tokyo, dedicato ai soldati giapponesi morti “al servizio dell’imperatore”. Dal momento che qui sono sepolti anche svariati criminali di guerra, le visite dei politici giapponesi sono sempre molto controverse e suscitano puntualmente la condanna di Cina e Corea del Sud, le cui popolazioni hanno pagato il prezzo più alto per i crimini dell’imperialismo nipponico nella prima metà del secolo scorso.
La prima visita al santuario di un primo ministro giapponese dal 2005 ha così innescato una nuova polemica con Pechino, culminata in un singolare battibecco, ospitato dal quotidiano Daily Telegraph, tra gli ambasciatori dei due paesi in Gran Bretagna. Respingendo ogni responsabilità per avere causato il deterioramento dei rapporti bilaterali, i due diplomatici hanno entrambi paragonato il paese rivale a Lord Voldemort, il “cattivo” della saga di Harry Potter.
Lo scontro ha poi trovato eco mercoledì alle Nazioni Unite, con il rappresentante cinese al Palazzo di Vetro, Liu Jieyi, che ha ripreso pubblicamente il governo giapponese, invitando la “comunità internazionale a rimanere vigile” sulle conseguenze della piega ultra-nazionalista presa dal governo di Tokyo e chiedendo al premier Abe di “correggere il suo punto di vista errato sulla storia”.
Nella disputa si sono poi inevitabilmente inseriti gli Stati Uniti, con il segretario alla Difesa, Chuck Hagel, che in una recente conversazione telefonica con il suo omologo nipponico, Itsunori Onodera, ha invitato il Giappone ad adoperarsi per migliorare i rapporti con i propri vicini. In precedenza, il Dipartimento di Stato aveva inoltre espresso il proprio disappunto per la visita di Abe al santuario Yasukuni.
I tentativi di calmare gli animi in Asia orientale da parte americana non possono però nascondere il ruolo giocato proprio da Washington nel far riesplodere le tensioni tra Cina e Giappone. L’amministrazione Obama ha infatti incoraggiato l’alleato giapponese ad assumere un atteggiamento più aggressivo nei confronti di Pechino, così da contribuire alla strategia americana di contenimento della seconda economia del pianeta.
Così facendo, tuttavia, gli USA hanno alimentato le tendenze militariste e nazionaliste all’interno della classe dirigente di Tokyo, causando l’effetto collaterale di complicare anche i rapporti tra il Giappone e l’altro principale alleato statunitense in quest’area del globo, la Corea del Sud. Da qui i malumori espressi a mezza voce da Washington per le provocazioni del gabinetto di estrema destra guidato da Shinzo Abe.
I governi di Cina e Giappone, da parte loro, stanno anch’essi sfruttando le tensioni diplomatiche in corso per incoraggiare i sentimenti nazionalisti al loro interno, in modo da giustificare i rispettivi programmi di riarmo e distogliere l’attenzione da problemi e conflitti sociali domestici.
Il confronto tra Cina e Giappone non si sta giocando però soltanto nelle aree contese nei mari asiatici ma anche, ad esempio, nel continente africano, dove giovedì il premier Abe ha iniziato una trasferta di una settimana che lo porterà, dopo lo stop mediorientale in Oman, in Costa d’Avorio, Mozambico ed Etiopia.
Se nelle dichiarazioni pubbliche è stato escluso che la competizione con la Cina sia alla base del viaggio del primo ministro, ciò è invece e senza dubbio una delle ragioni principali della trasferta in corso. Pechino ha infatti allargato enormemente la propria influenza in Africa nell’ultimo decennio, stabilendo partnership commerciali con molti paesi che forniscono alla Cina le proprie risorse energetiche e spesso beneficiano di ingenti investimenti in infrastrutture e progetti di sviluppo.
Questo continente è poi da tempo nel mirino dei paesi occidentali, che stanno progressivamente aumentando la loro presenza soprattutto militare, giustificata da motivazioni “umanitarie” che hanno portato a numerosi interventi, tra cui in Libia, Costa d’Avorio, Mali e Repubblica Centroafricana.
Che l’Africa sia al centro dell’interesse del governo liberal democratico giapponese era già stato confermato la scorsa estate, quando Tokyo aveva ospitato una quarantina di capi di stato africani, ai quali erano stati promessi decine di miliardi di dollari in prestiti e investimenti privati.
Più in generale, la corsa all’accaparramento delle risorse e dei mercati spesso dominati dalla Cina da parte del Giappone di Abe appare evidente dalle 25 visite all’estero effettuale nel corso del solo 2013 dal premier conservatore, concentratosi, prima di passare al continente africano, su praticamente tutti i paesi del sud-est asiatico, protagonisti in questi anni di un sensibile rafforzamento dei legami commerciali e talvolta strategici con Pechino.

Fonte: Mario Lombardo http://www.altrenotizie.org

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