mercoledì 29 gennaio 2014

“Mio figlio si impiccò a causa della crisi che Berlusconi negava”

“Mio figlio si impiccò a causa della crisi che Berlusconi negava”

Una testimonianza del Comitato popolare 580 c.p.

Vogliamo raccontarvi la storia di Anna, una signora di 66 anni a cui la crisi economica di questi anni, ha strappato via il figlio. Anna la milanese, così la chiamano a Napoli dove vive, fu costretta dai genitori a sposare un uomo molto più grande di lei che a soli 16 anni la portò a vivere a Legnano in provincia di Milano. Non ha avuto una vita facile e nonostante abitasse al nord la situazione economica non è mai stata fiorente ma per l’amore per i figli non si è mai persa di coraggio. Nel 2010 ha però avuto il dolore più grande che una madre possa sopportare, quello di sopravvivere al proprio figlio.
Dauria Cristian, così si chiamava suo figlio, si uccise impiccandosi, il 14 febbraio del 2010 all’età di 31 anni, soffocato non solo dalla corda, ma dai debiti che non riusciva a pagare, dalla crisi che nessuno ancora in quel periodo ammetteva esistesse. “In Europa ci sono Paesi come la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l’Irlanda che sono in situazioni abbastanza preoccupanti, mentre noi ce la stiamo cavando meglio di tutti gli altri” – dichiarava Silvio Berlusconi il 6 febbraio 2010.

“Se avesse avuto il suo lavoro mio figlio non si sarebbe tolto la vita. Lui era l’ultimo di quattro, era il mio piccolino, la mia gioia. Sto male tutti i giorni” – ci ha raccontato Anna tra le lacrime.
“È da storie come quella di Anna che siamo partiti, decidendo di coinvolgere tutti i cittadini con una denuncia di massa” ha commentato Antonio Corcione, promotore dell’evento “Denunciamo il Governo per istigazione al suicidio” lanciato su facebook in collaborazione con Aladino Lorin, l’avvocato Antonio Grazia Romano, Paolo Sabbioni, Lino Ricchiuti e sostenuto attivamente da migliaia di persone con denuncia effettiva alle autorità. Vai al l’articolo.
Corcione, quando ci ha presentato la signora Anna, ha precisato: “Questa lotta che stiamo facendo non ha un nome, non ha un leader, non ha simboli, non ha politici, vogliamo solo che non ci siano più italiani che pensano al suicidio a causa della crisi”.
Questo è il racconto di Anna, una mamma, come tante ormai, che ha perso il proprio figlio suicidatosi per il peso insostenibile della crisi economica finanziaria italiana: “Lui lavorava come scenografo con una ditta, ma nel 2009 decise di mettersi in proprio anche perché con lo stipendio che prendeva non ce la faceva a sostenere le spese. Era molto bravo come scenografo ed infatti lo chiamavano per Zelig, ma il lavoro era comunque poco. Aveva accumulato diversi debiti e non riusciva più a pagare le rate, e dopo la sua morte mi sono arrivate delle lettere da una società di recupero credito di Roma, che mi avvisavano che avrei dovuto pagare io il prestito di mio figlio con gli interessi e la mora entro 15 giorni. Io piangevo, e pensavo, dopo il danno anche la beffa, perché mio figlio si impiccò.
Sono dovuta andare il Lombardia per rinunciare all’eredità per aggirare l’ostacolo del pagamento, anche perché era probabile che arrivassero avvisi di pagamento per altri debiti. Per pagare le spese legali ho dovuto vendere quel poco di oro che avevo. Io non prendevo ancora neppure la pensione, non sapevo come fare, mia sorella dalla Germania, mi mandava un po’ di soldi ogni tanto per aiutarmi.Quando Cristian è morto, per pagare i funerali è dovuto intervenire il parroco di Legnano, perché occorrevano più di 10mila euro e non li avevamo.
Io non ho fiducia più in nulla. Alcune volte penso che sia meglio andare via dall’Italia. Nel bene o nel male la mia vita l’ho vissuta, ma io penso ai miei figli, ai miei nipoti, alle nuove generazioni. Come si può andare avanti così?
Tratto da:http://www.napolitime.it

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