lunedì 20 ottobre 2014

Renzi per la guerra i soldi li trova: soldati italiani tornano in Iraq

Dopo il vertice con Barack Obama, l’ammiraglio Binelli Mantelli e i generali turchi che bombardano il Pkk, l’Italia invierà armi e militari nella regione di Erbil in Iraq.

di Manlio Dinucci
L’Italia invierà armi e militari nella regione di Erbil in Iraq, per rafforzare «le capacità di autodifesa dei kurdi» contro l’avanzata dell’Isis: lo annuncia la ministra della difesa, Roberta Pinotti, alle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato. Non a caso due giorni dopo che il capo di stato maggiore della difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, ha partecipato in rappresentanza dell’Italia alla riunione, nella base militare di Andrews (Washington), delle massime autorità militari dei 22 paesi della coalizione la cui missione ufficiale è «degradare e distruggere l’Isis».

All’incontro – presieduto dal generale Martin Dempsey, capo dello stato maggiore congiunto degli Stati uniti – è intervenuto Obama, sottolineando che gli Usa intensificheranno «l’azione contro obiettivi sia in Iraq che in Siria», nel quadro di una coalizione internazionale. Gli alleati degli Usa, oltre ai raid aerei in ambedue i paesi, forniscono «armi e assistenza alle forze irachene e all’opposizione siriana» (contro Assad) e «miliardi di dollari di aiuti», definiti «umanitari».
In ambienti vicini alla Casa Bianca si ritiene che, nonostante l’impegno ufficiale di non impiegare soldati in missioni di combattimento in Iraq e Siria, Obama stia preparando l’invio di forze speciali (Berretti Verdi, Delta Force, Navy Seals), che si aggiungeranno ai «consiglieri» e agli «addestratori» già sul terreno per la «guerra coperta».
Intanto Washington preme perché gli alleati si assumano maggiori compiti, comprese operazioni terrestri. Non è dato sapere quali impegni abbia assunto per l’Italia, a Andrews, il capo di stato maggiore. Lo si può però dedurre dall’annuncio della Pinotti.
L’Italia non solo fornirà «ulteriori stock di munizioni di modello ex-sovietico, provenienti dal materiale confiscato nel 1994», ma anche «armi e munizioni controcarro in uso all’Esercito italiano», più un aereo KC-767 per il rifornimento in volo dei caccia e due velivoli Predator a pilotaggio remoto, presto affiancati da «altri assetti pilotati per la ricognizione aerea». L’Italia invierà inoltre 280 militari per l’addestramento e la formazione di forze kurde e, fatto ancora più importante, «una cellula di ufficiali per le attività di pianificazione».
È dunque un comando avanzato per nuove operazioni militari effettuate in modo coperto da forze speciali italiane, oggi potenziate con la nascita del nuovo comando unificato istituito alla caserma della Folgore a Pisa.
L’intervento militare italiano in Iraq rientra nella strategia statunitense. E i kurdi che l’Italia va a sostenere sono quelli della Regione autonoma del Kurdistan, centro petrolifero in grande ascesa e sede di decine di compagnie Usa e occidentali, sotto la presidenza di Masoud Barzani, capo del Partito democratico del Kurdistan, fedelissimo degli Usa.
Non a caso, mentre colpisce le forze dell’Isis che minacciano la regione in cui è al potere Barzani, l’aviazione statunitense e alleata fa quasi cilecca nel colpire l’Isis che attacca la zona del Pkk, le cui forze (che sono quelle che combattono realmente l’Isis sul fronte del confine siriano) vengono per di più bombardate dall’aviazione turca.
Significativo è che all’incontro di Andrews abbia partecipato il capo di stato maggiore della Turchia e che la Casa Bianca abbia minimizzato gli attacchi aerei turchi contro i kurdi del Pkk, assicurando che sono in corso colloqui su «ulteriori impegni» di Ankara. Lo stesso avviene in Siria, dove gli attacchi aeronavali Usa stanno demolendo non l’Isis, ma le installazioni petrolifere siriane per far crollare il governo di Damasco.
Obama, dopo l’incontro di Andrews, ha rimarcato che «distruggere l’Isis resta una missione difficile» e che «siamo appena agli inizi di una campagna a lungo termine». Non c’è dubbio, dato che l’Isis – costruito dai Paesi sunniti del Golfo a partire dall’Arabia saudita e dal fronte degli «Amici della Siria», tra cui Usa, Turchia, Gran Bretagna – corrisponde alla strategia statunitense che, dopo aver demolito con la guerra lo Stato libico e aver quasi demolito quello siriano, mira a balcanizzare l’Iraq, smembrandolo in tre regioni semi-autonome (kurda, sunnita, sciita) o in tre distinti Stati.
In questa lunga e costosa guerra viene portata l’Italia. I soldi non mancano: nella legge di stabilità, quelle per le «missioni internazionali di pace» (leggi missioni di guerra) vengono definite «spese indifferibili».
Fonte: Nena News

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