lunedì 30 giugno 2014

I sicari dell'economia mondiale ai tempi della NSA. L'intervista esclusiva a John Perkins

I sicari dell'economia mondiale ai tempi della NSA. L'intervista esclusiva a John PerkinsL'autore di "Confessioni di un sicario dell'economia" e "La storia segreta dell'Impero americano" su Snowden, fracking, Europa e i piani delle corporations

di Chiara Ronca

John Perkins. Per oltre 20 anni economista in una delle principali società di consulenza ingegneristica, la Chas.T.Main, di Boston. Autore dei bestseller "Confessioni di un sicario dell'economia" e "La storia segreta dell'Impero americano"
 

Parlare con John Perkins è illuminante: quest’uomo ha avuto il privilegio di essere testimone dei più importanti avvenimenti della storia degli ultimi 40 anni dal “di dentro”, nel ruolo di sicario dell’economia. Se molti dei paesi che ai tempi potevano essere definiti “in via di sviluppo” (per quanto non ami quest’espressione) sono gravati da miliardi di dollari di debiti, pieni fino al collo, la responsabilità è di società come la MAIN e di sicari come John.
John Perkins ha dato e continua a fornire la sua visione dell’economia mondiale e di ciò che avviene nel mondo. 
 
- Dal primo momento in cui ha iniziato a lavorare alla MAIN, ha avuto la sensazione che Lei e i suoi colleghi non venivate mandati in giro per il mondo per aiutare la popolazione locale a raggiungere migliori condizioni di vita ma soltanto per portare avanti gli interessi delle corporazioni americane, garantendo a queste ultime progetti da miliardi di dollari: progetti di cui non poteva usufruire la maggior parte della popolazione ma che, allo stesso tempo, condannavano il paese contraente a un futuro di debiti e di asservimento nei confronti degli Stati Uniti. 
La sua carriera, infatti, dipendeva dalle sue previsioni, le sue previsioni dipendevano da quanto era disposto a compiacere i suoi capi e a tenere a freno la sua coscienza. Ha accettato questo ruolo, di essere una pedina dell’imperialismo americano. A volte la aiutava ripetersi: “Non è una mia decisione: sto facendo quello che mi chiedono di fare, la decisione finale sulle sorti di questo paese”, che fosse l’Indonesia, Panama piuttosto che l’Iran, “sarà presa da altri”.
Lo spirito che la animava era perseguire una carriera, avere successo: senza queste cose, in quest’economia guidata dal mercato, in cui è il profitto a guidare qualsiasi scelta, si è perdenti. Non è stata forse questa la ragione principale che le ha fatto accettare la missione di sicario dell’economia? E non è forse questa logica che oggi spinge giovani laureati a raggiungere posizioni sempre più alte, non curandosi del loro reale contributo nel preservare i sistemi di potere? 
Ma esistono anche pochi coraggiosi che rifiutano carriera e sistema, come Snowden…
 
P: L’NSA e il governo statunitense, attraverso le sue agenzie, cercano di proteggere gli interessi delle corporations in tutto il mondo. Quello che ho compiuto come sicario dell’economia è in retrospettiva davvero deplorevole. Al tempo, appena uscito dalla Scuola di Economia, credevo fosse la cosa giusta da fare. Era quello che la Banca Mondiale promuoveva, per questo all’inizio ero convinto che fosse giusto; ma in seguito sono giunto alla conclusione che ciò che stavo facendo consisteva nel servire solo gli interessi delle ricche multinazionali. Snowden ha mostrato che esiste un nuovo livello rispetto ai tempi in cui ero un sicario dell’economia: il governo statunitense ha veramente giocato un ruolo cruciale nel rovesciare i governi di altri paesi e nell’aiutare le corporations a conquistare posizioni privilegiate nelle economie di questi paesi.  
Per quanto riguarda i giovani e le loro ambizioni, beh, è la storia che ci raccontano. La storiella che narrano e allo stesso tempo la bugia perpetrata maggiormente: ma la verità dietro tutto ciò è che noi possiamo fare molto, tu lo stai facendo divulgando notizie, io scrivendo libri, Snowden ha fatto la sua parte a suo modo. Quindi io sono molto speranzoso circa il fatto che possiamo cambiare tutto questo, è necessario avere coraggio e lavorare duramente, come fanno persone come te, Snowden e me. Ma la prima cosa che dobbiamo capire è che dobbiamo cambiare quella che io chiamo “death economy” in “life economy”.

 
- In un articolo di maggio su johnperkins.org lei scrive: “Tutti noi saremo colpiti catastroficamente se continueremo a vivere come stiamo facendo ora”. Ma in Europa così come negli Sati Uniti e nel resto del mondo la maggior parte dei governi occidentali continuano a supportare quello stesso modello di sviluppo e crescita che ha portato alla crisi: Lei dà alcuni suggerimenti in Confessioni, come rivedere al ribasso il nostro stile di vita. Ma qual è la sua idea di rivoluzione? Ha in mente una rivoluzione-protesta, nel modo in cui ha cercato di innescare il movimento Occupy, oppure un cambiamento concreto, reale, nella vita di ciascun individuo?
 
P: Non penso ad un cambiamento radicale, totale, nella vita di ciascuno. Ma penso che qualsiasi mezzo di cambiamento richieda una massa critica: e tuttora non sappiamo esattamente che cosa sia. L’abbiamo forse vista con la fine dell’apartheid in Sud-Africa, più recentemente in diverse parti nel mondo. Quando qualcuno comincia a credere che qualcun altro stia lottando per qualcosa, beh, funziona in questo modo. Questo richiede che tutti noi facciamo pressioni sulle grandi multinazionali perché devono cambiare, perché l’economia che hanno creato in tutto il mondo non sta funzionando, è un disastro, non è un modello. Meno del 5% della popolazione che vive negli Stati Uniti consuma il 30% delle risorse globali. Questo non è un modello: l’India non può fare questo, così come la Cina, la Russia. Questi paesi non possono seguire questo modello. E le corporations devono capirlo perché sono le forze trainanti di questo sistema.
Hanno bisogno di capire quello che avvenne in Italia nel periodo in cui le città-stato divennero nazioni. Ma non lo capiscono: nel Rinascimento vi erano banche a Firenze, a Venezia, Roma, Ginevra, Parigi e funzionavano. Oggi le persone che lavorano nella finanza devono capire che c’è necessità di un nuovo ordine che supporti le persone, che serva l’interesse pubblico, che sia sostenibile e che promuova uno stile di vita sostenibile, creando “life economy” piuttosto che “death economy”. E noi individui, i consumatori, chi lavora per le grandi corporations, gli imprenditori, i leader politici del futuro — ma il futuro parte ora — devono comprendere che ci stiamo dirigendo verso un altro periodo della storia che è simile in molti modi alla transizione dalle città-stato alle nazioni.
 
 
- Concordo con Lei su quanto ha detto ma, malgrado ciò, questo “modello” di sviluppo è considerato vincente perché la maggior parte degli Stati continua a portarlo avanti. 
 
P: Le statistiche sugli Stati Uniti (che rappresenta il più grande successo di questo modello, se lo si vuole chiamare modello) sono terribili: abbiamo il più alto tasso di suicidi, di omicidi, quello più alto per l’abuso di droghe, il più alto tasso di carcerazione al mondo, statistiche terribili anche per quanto riguarda gli abusi sui minori, non siamo un popolo felice ma siamo davvero un popolo sfruttatore (il 5 % della popolazione che vivid negli Stati Uniti costuma il 30% delle risorse mondiali). Ma in realtà di questo 5% solo l’1% consuma davvero molto e comunque non è felice. Questo modello materialistico non funziona per nessuno e nemmeno per il pianeta. 
 
 
- Ma le grandi corporations stanno ancora agendo come vogliono, con le negative conseguenze per l’ambiente che questo comporta. Penso, ad esempio, al fracking: questo nuovo metodo di estrazione del petrolio sta davvero mutando in modo radicale il territorio statunitense. In che modo può giustificare che queste corporations stiano facendo cosa vogliono mentre la gente non reagisce, non è così preoccupata o allarmata?
 
P: Le compagnie petrolifere europee hanno un enorme potere, sono più potenti del governo degli Stati Uniti o di qualsiasi altro governo al mondo. Le compagnie petrolifere hanno un incredibile potere perché controllano quella risorsa che continua ad essere motore di sviluppo, il petrolio. Noi dobbiamo cambiare questo ma le multinazionali non fanno altro che incoraggiare le persone a boicottare le campagne contro di loro.
Società come Shell in Olanda e Chevron negli Stati Uniti non si interessano delle sorti degli altri paesi ma solo di mantenere la loro posizione nel globo, di mantenere l’impero che hanno costruito.
 
 

- Parliamo ora della situazione europea. Leggendo in Confessioni le pagine sull’Iran degli anni ’50, con Mossadeq letteralmente rimpiazzato per conto della CIA, mi è subito balenato alla mente il parallelo con la questione ucraina: se un paese non è intenzionato ad unirsi alla cerchia statunitense, facilmente si rimpiazza il regime di quel paese. Nè l’Unione Europea —cioè gli Stati Uniti — né la Russia possono perdere l’Ucraina: è troppo strategica ma allo stesso tempo i primi vogliono evitare un effetto domino nelle altre ex repubbliche comuniste, evitando che si ripeta quanto avvenuto in Crimea. Obama si è recato in visita in Polonia questo mese a ribadire il suo impegno verso questi paesi. Si più parlare ancora di guerra fredda, come sostengono alcuni?
 
In Ucraina abbiamo da una parte l’Unione Europea, dall’altra la Russia. E questo territorio prima era parte dell’URSS. Ora, i politici statunitensi come Obama vogliono dare una certa immagine dell’Ucraina ma la Russia subentra lì come in altri paesi. In un certo senso Obama non poteva essere più flessibile: sembra che abbia cercato di negoziare, si trova in una posizione molto difficile. Molte persone in questi paesi sentono un legame più forte con la Russia piuttosto che con l’Unione Europea. 
Si tratta davvero di una situazione complicata perché ci sono potenze enormi nel mondo oggi: il Sud-Africa, due superpotenze come la Russia e la Cina che si sono avvicinate, paesi con un’economia in ascesa, come India, Brasile. Questi paesi, potenzialmente in conflitto, al momento si stanno opponendo a Stati Uniti e Germania. Ma io credo che sia necessario riconoscere che dietro a queste economie ci sono le grandi corporations. E l’economia cinese non può crescere senza le grandi multinazionali, né può quella brasiliana o quella russa. Al di là della competizione geopolitica, c’è un altro livello: il riconoscimento che le grandi corporations vincono, non conta come.
Chiaramente le multinazionali competono fra loro: Shell concorre con Chevron per farmi comprare la benzina per la mia auto. Ma se gli Stati Uniti o qualsiasi altro paese inizia a attuare leggi che possono minacciare la loro capacità di massimizzare i propri profitti, allora si compattano per combattere queste leggi. La competizione cui assistiamo su paesi come l’Ucraina è soltanto apparente: la Russia ha la sua sfera di influenza, così come Europa e Stati Uniti. Ma allo stesso tempo, questi stessi paesi si uniscono quando le corporations necessitano che sia così.
 
- Vorrei riservare l’ultima domanda alla crisi economica in Europa e, in particolare, alla Grecia. In “Sistemi di Potere” Noam Chomsky afferma che questi sistemi non sono inclini a cedere potere, anzi divengono molto resistenti al cambiamento. La Grecia, ad esempio, ha pagato e sta pagando molto per non essere stata in grado di opporsi alla troika, sia dal punto di vista umano che sociale. E, proprio perché a dispetto della crisi gli equilibri di potere in Europa sono grosso modo sempre gli stessi, si può dire dire che il sistema di potere che abbiamo in Europa è divenuto ancora più potente perché ha resistito al cambiamento che alcuni paesi avrebbero voluto all’apice della crisi?
 
Le grandi corporations non vogliono intromettersi sulla questione di un’Europa unita: sono felici che ci sia una moneta unica, l’euro e la Nato. Ma la minaccia di un potenziale conflitto è sempre gradito alle corporations perché possono approfittarsene. Ma sono favorevoli alla Nato perché bilancia il potere della Russia. 
Quello che le grandi corporations vogliono è che alcuni paesi continuino ad offrire lavoro a basso costo, altri paradisi fiscali, altri un livello irrisorio di regolamentazione sull’ambiente. 
Dieci anni fa le corporations hanno cominciato a vedere che l’Europa si stava integrando davvero, formulando standard sociali e ambientali. E questo non lo vogliono: tumulti e crisi economica sono graditi fino a un certo livello, ecco perché fomentano questo in paesi come Grecia, Italia, Spagna e Portogallo: è un modo di  “dividing and conquering”. Gli imperi sempre dividono e conquistano. 
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=6&pg=8236

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