domenica 18 maggio 2014

La Stidda ” La Stella di cosa nostra.”

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Il simbolo del riconoscimento è una piccola macchia scura, 5 segni verdognoli disposti a cerchio fra il pollice e l’ indice della mano destra. Loro li chiamano “i punti della malavita”. E’ un po’ il marchio del reclutamento nella setta, lo status di fuorilegge conquistato magari con l’ ultimo omicidio o con l’ ultima estorsione. Nei paesi intorno a Caltanissetta sono conosciuti come “stiddari”, nella provincia agrigentina diventano “stiddaroli”. Non sono uomini d’ onore e quasi mai appartengono a Cosa Nostra, la loro organizzazione non è centralizzata, non ci sono né Cupole né Commissioni, non si sa chi sono i capi, qualche volta fanno affari con le “famiglie” e qualche altra volta le fronteggiano con le pistole e con il tritolo.
Sono i membri della “Stidda”, la Stella, semisconosciuta associazione a delinquere della Sicilia interna, misteriosissime bande cresciute vicino alle cosche, società di “mutuo soccorso” che hanno radici antiche nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Il primo a parlare con Falcone di questa “mafia parallela” è stato il pentito Francesco Marino Mannoia nel 1989. Ma erano solo voci, ricordi lontani tornati alla memoria di un boss che stava confessando i suoi delitti. Adesso nuovi collaboratori della giustizia raccontano i loro misfatti e svelano anche i segreti di clan cresciuti nei borghi, nei piccoli comuni montani, nelle campagne che dalla foce del fiume Platani si estendono fino alla Valle del Belice, fino a Gela, fino alle case di Palma di Montechiaro e di Favara. Ecco cosa dice il pentito, Nardo Messina da San Cataldo: “Nel giro di pochi anni Cosa Nostra scomparirà, distrutta dalle intemperanze di Totò Riina e dalla Stidda…”. E vediamola cos’ è questa “Stella”, questa nuova-vecchia mafia che sembra lievitare mese dopo mese e occupare territori su territori che una volta erano incontrastato dominio dei padrini di Cosa Nostra. Innanzitutto nessuno sa esattamente cosa significhi “Stidda” e quando è nata. Sul luogo d’ origine c’ è qualcosa, pare che la culla sia Agrigento. Ma negli ultimi vent’ anni gli “stiddari” si sono moltiplicati e insediati nella provincia di Caltanissetta (a Campofranco, a Mussomeli, a Sutera), nell’ ennese (a Barrafranca e a Pietraperzia soprattutto), nel catanese, nel siracusano. E anche al nord, in città come Milano, Genova, Torino. Un esercito sterminato di criminali pronti a tutto, centinaia, migliaia di “malacarne” sparsi per la Sicilia e per l’ Italia. Come si diventa “stiddaro”? “C’ è una specie di rito di iniziazione”. I vecchi della setta individuano il soggetto giusto e dopo qualche “impresa” lo fanno entrare nel clan. Senza santini o immagini di Santa Rosalia o Santa Rita che bruciano. Senza particolari formule da pronunciare come si usa dentro Cosa Nostra. La “cerimonia” è più semplice: prendono un ago e lo riscaldano, poi prendono anche un po’ d’ inchiostro nero o blu. E riscaldano anche quello. L’ iniziato viene punto fra il pollice e l’ indice della mano destra, nel forellino entra l’ inchiostro, si aspetta qualche secondo per farlo espandere di pochi millimetri, il primo marchio è fatto. L’ inchiostro nero o blu al contatto con la pelle e il sangue diventa di un verde intenso. In tutto si disegnano 5 punti, a forma di cerchio o di stella. Segni indelebili che, si dice, qualche volta vengono ricamati sulle spalle o sulle braccia. Ma non è tutto, lo “stiddaro” deve tenere a mente anche alcune parole d’ ordine per farsi riconoscere quando è in trasferta. Una sorta di filastrocca che cambia formula da paese a paese. A Gela, ad esempio, uno degli affiliati al clan Cavallo-Iannì si presento’ a Milano a un altro componente della setta recitando a memoria una valanga di parole che finivano pressappoco con questa preghiera: “…tu m’ àccanusceri intra e fora stu paisi”, tu mi devi riconoscere dentro e fuori questo paese. Folclore criminale? Vecchi inutili riti di una associazione di altri tempi? “Noi stiamo lavorando da mesi anche su questo fronte e le cose che abbiamo scoperto sono estremamente interessanti per decifrare la realtà mafiosa siciliana, di più per ora non posso dire”, spiego’ il questore di Caltanissetta Vittorio Vasques, un poliziotto che scoprì per primo, 13 anni fa, le raffinerie di eroina a Palermo e i retroscena del falso sequestro Sindona. Ma c’ è sempre l’ ultimo pentito, quel Messina da San Cataldo, che sembra aver raccontato tante cose sugli “stiddari” e sulla lora penetrazione addirittura nella città di Palermo, la capitale di Cosa Nostra. Ma qual è il rapporto fra la “Stidda” e la mafia tradizionale? Cambia da realtà in realtà a seconda degli interessi. Qualche volta sono gli “stiddari” che alimentano il serbatoio della manovalanza per Cosa Nostra e qualche volta sono sempre gli “stiddari” il più grosso ostacolo per i boss dell’ onorata società. E’ accaduto una decina di anni fa nell’ agrigentino, a Raffadali. Lì alcuni uomini d’ onore, racconto’ il pentito Marino Mannoia, “ebbero a lamentarsi con Totò Riina chiedendogli un decisivo intervento per eliminare uno dei capi storici della Stella”. Si chiamava Calogero Lauria, fu fatto saltare in aria con la dinamite. Un’ altra guerra è stata combattuta nella piana di Gela: da una parte il boss Piddu Madonia e dall’ altra Salvatore Iocolano con la sua “Stidda”. Mafia parallela, mafia minore, mafia più o meno feroce che qualche volta dà ospitalità anche a uomini d’ onore “posati”, messi da parte da Cosa Nostra. Quelli che non hanno rispettato fino in fondo tutte le regole e che comunque potevano essere risparmiati. Gente che s’ è trovata come alleati in diverse province della Sicilia i nemici del “dittatore” di Cosa Nostra Totò Riina, i sempre più numerosi ribelli alla strapotere dei corleonesi. E’ sempre il pentito Nardo Messina a offrire una inedita chiave di lettura su quel che accadrà: “Cosa Nostra è alla fine per colpa di Riina ma quelli della Stella non potranno mai sostituire l’ attuale gruppo dirigente e ripristinare le regole mafiose: la Stidda è formata soprattutto da drogati e da magnaccia”. Profezia di pentito che fin dall’ inizio si indago’ in quella parte della Sicilia intorno a una mafia che porta strani nomi. Le “Code Piatte” di Favara, le “Code Strette” di Palma, i “Coduti” di Campofranco e di Casteltermini. Code su code, schegge di un’ organizzazione che sta impazzendo?

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