venerdì 11 aprile 2014

Piccole imprese e Partite IVA: si intona il “de profundis”

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di Luciano Lago
Grazie al regime fiscale imposto dai governi al servizio della grande finanza, in Italia assistiamo da tempo alla morte lenta per salasso fiscale di un esercito di piccoli imprenditori e delle ditte individuali con partita IVA, commercianti, artigiani, laboratori conto terzisti, agenti di commercio, ecc..
Questa categoria eterogenea che ha come caratteristica quella di costituire la fascia sociale dei lavoratori autonomi e di non essere in alcun modo rappresentata e tanto meno considerata dai vari governi che si sono succeduti se non per essere letteralmente spremuta da imposte e contributi con cui alimentare il flusso di cassa dell’Agenzia delle Entrate, dell’INPS e delle Camere di Commercio.
Nel corso del 2013 si è riscontrata la chiusura di circa mille aziende al giorno, un dato impressionante che fa riflettere sulla moria delle piccole imprese.
In base ai dati elaborati dalla Cgia di Mestre, risulta che la crisi, in 5 anni, ha fatto crollare il popolo delle partite Iva: dal 2008 al Dicembre 2013 hanno infatti cessato l’attività 415 mila di queste imprese e lo stesso ritmo si mantiene nei primi mesi dell’anno in corso.. In controtendenza solo i liberi professionisti (+125 mila). Vedi: crollo-delle-partite-iva-

«A differenza dei lavoratori dipendenti – fa notare il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – quando un autonomo chiude l’attività non dispone di nessuna misura di sostegno al reddito. Ad esclusione dei collaboratori a progetto che possono contare su un indennizzo una tantum, le partite Iva non usufruiscono dell’indennità di disoccupazione, di nessuna forma di cassa integrazione o di mobilità lunga o corta. Spesso si ritrovano solo con molti debiti da pagare e un futuro tutto da inventare».  Questo spiega anche l’alto numero di suicidi riscontrato fra gli appartenenti a questa categoria.
L’impossibilità di sopravvivere deriva da una tassazione fuori misura che corrisponde ad oltre il 61% del reddito, con i contributi INPS che arrivano oggi al 28% ma che saliranno al 33% nel giro di poco tempo. A queste imposte devono essere aggiunti una serie di adempimenti che rappresentano ulteriori costi per chi fa un lavoro autonomo, dal commercialista all’iscrizione alla Camera di Commercio, all’acquisto di registri vari, ecc..
Vedi: allarme-popolo-partite-iva-piu-60percento-se-ne-va-tasse-contributi/
A questa situazione di difficoltà deve essere poi considerata l’impossibilità di ottenere credito dalle banche e la lentezza nei pagamenti per quelle piccole aziende che hanno avuto la sventura di fornire beni o servizi alla Pubblica Amministrazione, alle ASL, ai Comuni, ecc. I pagamenti non arrivano neppure dopo i 90/120 giorni dalla fornitura e sulle fatture emesse bisogna pagare l’IVA come se fossero state incassate.
Per non considerare poi gli accertamenti che vengono frequentemente fatti dalle Agenzie dell’entrate su questi imprenditori, considerati sempre evasori di fatto o potenziali e che sono nelle mire degli ispettori. Accertamenti che il più delle volte si concludono con una cartella esattoriale da pagare, visto che l’Agenzia delle entrate presume sempre che vengano occultati dei guadagni anche se le aziende sono in perdita. Questo avviene grazie all’incredibile sistema delle medie statistiche derivanti dagli “studi di settore” , un meccanismo diabolico per il quale si presume che il soggetto debba percepire dei guadagni in base ad astratti calcoli statistici e di conseguenza si inverte l’obbligo della prova a carico del disgraziato che non abbia denunciato tali guadagni e che viene stretto in una morsa per cui deve pagare in anticipo, salvo poi accollarsi i costi ed i tempi di un ricorso dall’esito incerto.  Superfluo aggiungere che il disgraziato piccolo imprenditore si vedrà poi arrivare la cartella di Equitalia che, in caso di mancato pagamento , provvederà a pignorare azienda, capannone o macchinari dei quali il disgraziato contribuente non avrà più la disponibilità e quindi non potrà più produrre reddito per pagare le imposte.
Un vero sistema da “cappio al collo” per chi oggi in Italia ha la sventura di gestire una piccola impresa, un artigiano, un commerciante e si trova nella tenaglia del fisco, della burocrazia e della concorrenza delle grandi imprese multinazionali che giocano sporco con produzioni fatte all’estero con bassi costi e con manodopera sottopagata.
Si spiega quindi il panorama di desolazione che si vede in in quasi tutte le città italiane con negozi che chiudono, piccole attività artigianali che cessano di esistere, capannoni chiusi e messi in vendita, altri anche volutamente danneggiati e resi inagibili per sottrarli al pagamento della famigerata “Tasi”, la tassa che colpisce gli immobili strumentali.
Bisogna porsi una domanda: può essere mai possibile che nessuno nei governi e nei ministeri si sia mai chiesto se questo regime fiscale sulle imprese poteva essere compatibile con le caratteristiche di questo settore e con la possibilità di sopravvivenza di migliaia di piccole imprese che costituiscono l’ossatura del sistema economico?
La risposta non può essere scontata e bisogna dedurre che loro, i Tremonti, i Monti, i Letta, i Saccomanni sapevano ed erano consapevoli degli effetti dei provvedimenti adottati ma dovevano comunque stringere quel cappio perché così era stato deciso dall’esterno, un obiettivo preciso quello dello strangolamento economico della piccola impresa e della eliminazione delle attività indipendenti, le piccole imprese e gli artigiani potranno sopravvivere solo e se diventeranno appendici delle grandi aziende monopolistiche.
Tutto rientra in un piano economico discusso ed approvato a Bruxelles, predisposto appositamente per l’Italia dove, riservatamente e senza clamori, hanno apposto la loro firma i fiduciari della finanza installati al governo in Italia per compiere l’opera: prima il prof. Monti (ex Goldman Sachs) poi Enrrico Letta con Saccomanni , adesso il fiorentino Matteo Renzi con suo tutor Pier Carlo Padoan (ex FMI).
Il mercato italiano deve essere omologato in breve tempo per permettere alle grandi multinazionali di insediarsi e di poter disporre delle risorse che servono come mano d’opera a basso costo, simile a quella disponibile in paesi come la Serbia o la Bulgaria, con una rete di piccole imprese che potranno sopravvivere soltanto se saranno fornitori di servizio di queste grandi multinazionali alle condizioni che loro stabiliranno. Questo l’assetto deciso dai signori del FMI, della Banca Mondiae, della Commissione Europea, con il sostegno del WTO, della Goldman Sachs e con l’assenso della BCE.
Aprire i mercati, privatizzare i servizi, vendere le aziende pubbliche, rendere flessibile il lavoro, queste le direttive stabilite e non è ammesso discuterle.
Anche per questo si insiste molto da Bruxelles a far entrare quanta più immigrazione africana possibile, una forza di mano d’opera potenziale disponibile per i bassi salari previsti e che farà sentire la sua presenza sul mercato del lavoro. D’altra parte il governo Letta aveva messo la Marina italiana a diposizione dei migranti, un servizio impeccabile : le navi li vanno a prendere anche sottocosta libica, tanto preziosa questa nuova manod’opera da non lasciarsela sfuggire.
Le medie imprese manifatturiere italiane erano eccessivamente fastidiose per la loro concorrenza e capacità di innovazione, la stessa Germania ci aveva chiesto in passato di limitarne l’attività. Con il sistema dell’euro e le politiche di austerità conseguenti si è trovato il modo di disfarsene. Nel giro di 4 anni il numero delle imprese manifatturiere in Italia ha perso il 25% della sua consistenza, un risultato apprezzato a Bruxelles e Francoforte. “Siete sulla buona strada”, ha detto la Merkel al fiorentino andato in visita ad ossequiarla. Una lode ed un apprezzamento di cui vantarsi.

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