venerdì 18 aprile 2014

LA FOTO / NELL'IMMAGINE CHE VEDETE, IL FUTURO MINISTRO DELL'INTERNO ALFANO BACIA UN PERICOLOSO BOSS DI COSA NOSTRA

LA FOTO / NELL'IMMAGINE CHE VEDETE, IL FUTURO MINISTRO DELL'INTERNO ALFANO BACIA UN PERICOLOSO BOSS DI COSA NOSTRA
L'Ora della Calabria pubblica una foto scattata nel 1996 alle nozze della figlia del mafioso Croce Napoli. Alfano nega tutto, poi ricorda: "Ma non lo conoscevo".
Quando dal Palafiera di Roma ha urlato «non vogliamo i voti delle mafie», Angelino Alfano deve aver dimeticato che lì ad ascoltarlo, proprio in prima fila, c’era un certo Renato Schifani. Il Senatore e numero due dell’Ncd, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, finì sotto la lente d’ingrandimento dalla procura di Palermo a causa delle sue amicizie “pericolose” con i picciotti di Villabate e di Brancaccio.

Presunte amicizie, s’intende. E deve aver rimosso, Alfano, le parole di Totò Riina che nelle sue chiacchierate col boss pugliese Alberto Lorusso, disse: «Abbiamo il paese Ciliegiaro, questo senatore, il senatore che abbiamo, che abbiamo alla Camera, il paese di lui era mandamento nostro...».
E nella trascrizione dei colloqui trasmessa dagli investigatori ai magistrati, alla parola “Ciliegiaro” si apre una parentesi: gli inquirenti sottolineano che al “Ciliegiaro” corrisponde il paese di Chiusa Sclafani, ovvero il paese di Renato Schifani. Del resto già nel 2008  il boss dei corleonesi fece riferimento all'ex presidente del Senato. Il 10 giugno del 2008, durante un colloquio con suo moglie, Riina disse chiaro e tondo: «Renato Schifani è una mente».
Amnesie, dunque, come quella che ha spazzato via dalla memoria di Alfano il ricordo di un bacio. Era il 1996 e la figlia di Croce Napoli, boss di Palma di Montechiaro, organizzò un banchetto nuziale  al quale partecipò proprio Allfano.
Sarà stata l’eccitazione dei festeggiamenti oppure un momento di confusione, fatto sta che invece di baciare Gabriella, la sposa, il futuro ministro dell’Interno baciò il padre, il boss Croce Napoli.
Alfano in un primo momento smentì tutto: «Non ricordo questo matrimonio e non ho mai partecipato a matrimoni di mafiosi o dei loro figli, non conosco la sposa, Gabriella, né ho mai sentito parlare del signor Croce Napoli»
Ma poi, frugando meglio tra i ricordi, ammise che sì, forse partecipò al matrimonio ma su invito dello sposo.
Insomma, Alfano ammise, e del resto non poteva fare altrimenti visto che nel frattempo spuntò un video che provò incontrovertibilmente l’esistenza di quell’inconfessabile bacio. Ad onor del vero va detto che non c’è alcuna indagine su quell’episodio. Ma in ogni caso è strano che Alfano non sapesse che quello era il matrimonio della figlia di un boss, un uomo arrestato per associazione mafiosa, concorso in sequestro di persona, in omicidio e indicato dagli investigatori come «capo dell' omonima cosca mafiosa facente capo a Cosa nostra, operante in Palma di Montechiaro e nei centri limitrofi».
Ma al di là delle amnesie, il messaggio contro le mafie lanciato da Alfano è assolutamente rispettabile. Certo, in termini elettorali l’Ncd si aspetta molto dalla Sicilia e dalla Calabria. E’ lì che gli ex berlusconiani vogliono e possono costruire la propria roccaforte elettorale.
Ma è sempre lì, in Sicilia e in Calabria naturalmente, che prospera il voto di scambio politico-mafioso. Del resto solo l’altro ieri Il pm reggino Nicola Gratteri ha avvertito la Commissione parlamentare antimafia: «I clan calabresi controllano il 15-20% dei voti. Un numero sufficiente a decidere chi vince, chi governa e controlla gli appalti pubblici». E qualche giorno prima il procuratore di Palermo Messineo aveva detto con altrettanta chiarezza che Cosa nostra «ha una forza elettorale che ammonta probabilmente a centinaia di migliaia di voti che possono essere mobilitati. Nella nostra banca dati, abbiamo un elenco di almeno 5 mila soggetti rapportati a cosa nostra in varia forma, appartamenti direttamente, concorrenti esterni, collusi, soggetti cosiddetti avvicinati. Molte di queste persone vivono nella società civile, in mezzo a noi, hanno a loro volta circuiti familiari piuttosto intensi e hanno un'attività di lavoro: lascio immaginare quale forza elettorale siano in grado di mobilitare. E ogni comune ha il suo bravo gruppo mafioso, che ha un pacchetto di voti e lo distribuisce a suo piacimento, determinando l'elezione o la non elezione di determinati soggetti».
E per quel che riguarda il rapporto mafia e politica, inoltre, non possono passare inosservati gli appelli continui di Scopelliti che chiede da tempo di essere sentito dalla Commissione Antimafia. Chissà cosa ha da dire. C’è solo un modo per  saperlo: sperare che la Bindi lo convochi e lo “interroghi”.
Autore dell'articolo: Davide Varì e pubblicato da L'ora della Calabria

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