lunedì 3 marzo 2014

La svendita della Merloni elettrodomestici. Con la complicità del governo...

Dietro la grande crisi economica che sta attanagliando l’Italia non ci sono solo storie di aziende e capannoni industriali che chiudono, operai che perdono il posto di lavoro, imprenditori che decidono di farla finita con la vita. Le cronache recenti parlano anche della svendita di aziende un tempo gioielli di Stato o di industrie che sono state per decenni fiori all’occhiello dell’economia produttiva italiana.

Operazioni che avvengono nel clima di confusione generale che attraversa il nostro Paese e ovviamente con la complicità del governo e della casta dei politicanti. Il caso della Merloni, una della maggiori industrie italiane, produttrice di elettrodomestici fin dal 1930, è emblematico e vale la pena di raccontarlo.
Nel dicembre 2011, i commissari straordinari della Merloni, nominati direttamente dal Ministero dello Sviluppo Economico, decidono di vendere per 10 milioni di euro l’azienda italiana alla JP Industries Spa con sede all’estero. L’«affare» porta alla cassa integrazione per 1.500 lavoratori degli stabilimenti di Fabriano e Nocera Umbra; i restanti 700 operai vengono assorbiti dalla JP Industries. Nel settembre 2013, però, arriva la sentenza del Tribunale di Ancona, dopo il ricorso presentato da alcune banche contro la “vendita” della Merloni. L’operazione di cessione, avvenuta sotto l’egida del Ministero dello Sviluppo Economico, “ha violato un vincolo – si legge nella sentenza – diretto a salvaguardare, nell’ambito della pluralità degli interessi, quello dei creditori”. Inoltre è stata riscontrata anche la violazione “delle norme imperative relative al criterio di determinazione del valore del complesso industriale”, tali da “inficiare l’intera operazione di vendita per illiceità”. In pratica la Merloni viene svenduta per 10 milioni, pur valendone 54, ovvero ad un prezzo cinque volte inferiore del suo reale valore. La vendita, dunque, viene annullata.
Ma non è tutto. I tre commissari del governo – Massimo Confortini, Antonio Rizzi e Silvano Montaldo – presentano ricorso avverso alla sentenza del Tribunale di Ancona. E non solo. Nonostante il ricorso pendente, a detta degli stessi sindacati, continuano a vendere i macchinari dell’azienda a paesi esteri: Turchia, Egitto e Spagna.
Ci si chiede: come è stato possibile che tre esperti di diritto e di economia, come i commissari nominati dal Ministero dello Sviluppo Economico, abbiano svenduto un’azienda di tale portata ad un prezzo così basso, fuori da ogni logica di mercato?
E come mai il governo non ha aperto subito un’inchiesta su quanto accaduto, quanto meno per accertare se ci siano delle responsabilità dei commissari? Perché la casta dei politicanti tace di fronte ad una violazione della legge così evidente? E perché il governo lascia svendere le aziende italiane senza muovere un dito, lasciando che si compiano queste cannibalizzazioni da parte di imprese con sede all’estero?
Come qualcuno ha fatto notare, lasciano portare via tutto, restano pieni solo i portafogli dei tre commissari, che guadagnano la bellezza di 500mila euro all’anno. Alla faccia dei 1.500 cassintegrati e dei 700 lavoratori rimasti che ogni giorno assistono impotenti al cammino della ex Merloni verso un triste fallimento…
Mauro Finocchito

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