lunedì 10 febbraio 2014

IL MIGLIOR PRESIDENTE DEL MONDO

pepeDI MAYA SANTAMARIA E MARTINA ZANNOTTI
geopolitica-rivista.org

Dal 29 novembre del 2009 la Repubblica Orientale dell’Uruguay è governata da quello che è stato definito da New York Times e Le Monde il «miglior Presidente del mondo», José “Pepe” Mujica (1).
Il settantottenne capo del Frente Amplio alla guida del paese sudamericano viene spesso ricordato per:
- la vita avventurosa da guerrigliero Tupamaro;
- l’aver trascorso quindici anni di carcere duro a Punta Carretas, da cui tentò una fortunata evasione;
- rinunciare al 90% del suo stipendio presidenziale (circa 9 mila euro dei 10 mila che guadagna ogni mese);
- vivere decorosamente in una piccola fattoria ai bordi della periferia di Montevideo con sua moglie, la senatrice Lucia Topolansky.




A ciò si aggiunga che “Pepe” Mujica ha dato vita ad alcune riforme di politica interna che hanno fatto parlare molto di sé e che hanno messo l’Uruguay in cima alla sezione “esteri” di moltissime testate giornalistiche di tutto il mondo.
Nell’ottobre 2012, su proposta del Frente Amplio, il Parlamento uruguaiano approvò il progetto di legge per l’interruzione volontaria di gravidanza prima delle dodici settimane di gestazione. La legge sull’aborto pose Mujica al centro di un vero e proprio ciclone mediatico e politico: centinaia le organizzazioni cattoliche e pro-vita che hanno a lungo manifestato contro l’adozione di questo progetto di legge ma il Presidente non s’è lasciato intimidire e ha proseguito con la firma della legalizzazione dell’aborto, conscio del problema che gli aborti clandestini rappresentano non solo per il suo paese ma per tutta l’America meridionale.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha evidenziato in un suo rapporto (2) che la regione latino americana è quella con il più alto tasso di aborti – 30 mila l’anno solo in Uruguay – e con il numero più alto di vittime da aborto clandestino. Prima dell’Uruguay è stata Cuba a rendere legale l’interruzione di gravidanza nel primo trimestre, ottenendo il primato di primo paese latino americano a riconoscere alle donne la possibilità d’interrompere legalmente la propria gestazione.
Un paese decisamente progressista l’Uruguay soprattutto se consideriamo la sua antica tradizione di paese pioniere nel terreno dei diritti civili e politici. Nel 1913 è stata la prima nazione latino americana ad approvare il divorzio; nel 1927 è stato introdotto il voto femminile e nel 2007 sono state riconosciute le unioni civili di coppie omosessuali a cui è anche stata concessa la possibilità di adottare figli. Nell’aprile 2013 è proprio la presidenza di José Mujica a mettere un altro importante tassello nella storia civile del suo paese: dopo l’Argentina, anche l’Uruguay ha approvato con larga maggioranza la proposta di legge sulla legalizzazione delle nozze cosiddette “gay”. La legge, denominata appunto «Progetto uguaglianza nel matrimonio», è stata contrastata dalla Chiesa cattolica la quale ha chiesto ai parlamentari di votare “secondo coscienza” al fine di impedire la sua definitiva approvazione (3).
Un progressismo inarrestabile quello di Mujica che stride con la sua età anagrafica: a settantotto anni, si è fatto promotore di un progetto di legge che ha lasciato in molti senza parole, da chi lo ritiene un progetto illuminante e avanguardista a chi grida allo scandalo.
È proprio di questi mesi la notizia della legalizzazione della marijuana in Uruguay. José Mujica ha voluto scommettere su questa misura come strumento di lotta al narcotraffico, stabilendo che sarà compito dello Stato produrre e vendere marijuana direttamente ai consumatori.
Il consumo di marijuana era già consentito in Uruguay ma non la produzione né tanto meno la compravendita, per questo il progetto di legge del Frente Amplio puntava a rendere l’Uruguay – ormai lo è – il primo paese al mondo ad autorizzare e applicare regole per la produzione e la distribuzione di droghe leggere.
Nel giorno della sua approvazione, il segretario generale della Junta Nacional de Drogas, Julio Calzada, ha affermato che la nuova legge ha il compito di regolare il mercato già esistente di droghe leggere e non tanto quello di liberalizzarlo, andando così a destrutturare la compravendita illegale che tanto affligge il paese. Secondo Calzado (4)
“Scopo di questa legge è quello di irrobustire gli organismi e le strutture di controllo della Direzione Generale di Prevenzione del Traffico Illecito di Droga e della Polizia nella prevenzione e nella lotta al traffico illegale e al riciclaggio di denaro sporco”
Esisteranno sei tipi di licenze diverse: la licenza per produrre, quella per distribuire, quella per vendere la marijuana in farmacia, la licenza per coloro che decideranno di prodursela autonomamente, quella per i club della cannabis e quella per la regolarizzazione dell’uso di marijuana a fini farmaceutici, medici e cosmetici.
I consumatori residenti in Uruguay e maggiori di diciotto anni d’età potranno acquistare fino a quaranta grammi di marijuana al mese nelle farmacie registrate a partire dal prossimo aprile. Avranno anche la possibilità di produrre in proprio fino a sei piante l’anno nella propria abitazione. Una vera e propria rivoluzione che rende l’Uruguay il primo paese al mondo a legalizzare totalmente la marijuana (5).
Tuttavia la misura non sembra essere ben vista non solo dagli oppositori politici interni ma anche dai suoi “vicini di casa”, Brasile in primis. E’ proprio nel paese guidato da Dilma Rousseff che si annidano le principali preoccupazioni riguardo la storica decisione uruguaiana. Il Brasile risulta essere il secondo consumatore mondiale di cocaina nonché di crack e la liberalizzazione della marijuana a pochi chilometri da casa, affermano i detrattori, potrebbe rappresentare un rischio per la regione.
Il deputato brasiliano Osmar Terra, infatti, ha rilevato che:
“Non esiste alcun paese al mondo che è riuscito a ridurre il consumo di droga attraverso la legalizzazione”
Inoltre ha evidenziato come molte città di frontiera del Brasile:
“(…) potrebbero diventare una porta d’ingresso per la marijuana, specialmente Rio Grande do Sul”(6).
Allo stesso modo, forti critiche sono arrivate dal Cile e dal Nicaragua di Ortega, il quale ha a più riprese sostenuto come depenalizzare la marijuana presupporrebbe legalizzare la criminalità nell’America Latina e caraibica (7).
Dette accuse non sembrano scalfire la serenità di Mujica e del suo entourage nella convinzione che la nuova legge, pensata appositamente per regolare ogni forma di produzione e vendita della sostanza stupefacente, riuscirà a limitare i campi d’azione del narcotraffico e del mercato nero.
Avversari a parte, non solo i sondaggi nazionali confermano la popolarità di “Pepe” ma anche l’ultima analisi condotta dalla Transparency International (TI), organizzazione internazionale non governativa che da anni si occupa di analizzare e comparare i tassi di corruzione.
I risultati del 2013 del Corruption Perceptions Index8 – che classifica 177 paesi e territori in base alla percezione della corruzione del settore pubblico – collocano l’Uruguay al 19° posto della graduatoria mondiale e al primo di quella dell’America Centrale e del Cono Sud. Mentre Venezuela, Paraguay, Honduras, Nicaragua e Guatemala sembrano essere le nazioni dove la corruzione viene maggiormente percepita.
L’Uruguay ha dimostrato che le coraggiose riforme di Mujica – legalizzazione della marijuana inclusa – stanno andando nella direzione opposta rispetto a quella prospettata da Ortega, il quale paventava l’aumento della criminalità. Come è ovvio, traffico di droga e delinquenza, in generale, necessitano di istituzioni corrotte per poter prosperare. E non è il caso dell’Uruguay.
E’ proprio nell’ambito della sicurezza e della lotta alla criminalità che il Ministro degli Interni uruguaiano, Eduardo Bonomi, ha recentemente firmato un protocollo d’intesa con la sua controparte venezuelana, Miguel Rodríguez Torres. I nove punti di cui si compone l’accordo sono volti ad incrementare lo scambio d’informazioni, pubblicazioni scientifiche, esperienze e progressi compiuti dalle parti al fine di modernizzare gli attuali sistemi di sicurezza nazionali e di progettare politiche in materia di prevenzione realmente in grado di combattere la malavita, vero tarlo della regione latino americana.
In occasione della sottoscrizione del protocollo, il Ministro Torres ha sottolineato quanto una collaborazione con l’Uruguay su questi temi rappresenti un traguardo importante e un valore aggiunto per il Venezuela:
“Stringeremo ulteriormente le relazioni con l’Uruguay poichè è un paese che ha una significativa esperienza nel settore per i suoi bassi indici di criminalità. Sommeremo i nostri sforzi per sradicare la delinquenza”.
Gli sforzi di politica interna hanno portato José Mujica ad ottenere importanti successi, tanto che il modello uruguaiano viene guardato con ottimismo e interesse da molti altri paesi. Anche per ciò che riguarda le sfide poste in essere dalla politica regionale ed estera, il Presidente dell’Uruguay spicca tra gli altri per i grandi sforzi condotti in nome dell’efficienza del MERCOSUR.
Proprio in relazione all’accordo economico e commerciale siglato nel 1991, meno di un mese fa, il presidente uruguaiano ha chiesto al suo omologo argentino di interrompere la politica di protezionismo rispetto ai paesi membri del MERCOSUR che rischiano di inficiare i progressi commerciali registrati finora dallo storico accordo di libero scambio sudamericano.
In realtà José Mujica ha “accusato” Cristina Fernández de Kirchner di bloccare il trasferimento di merci nei porti dei paesi membri che non hanno accordi marittimi diretti con l’Argentina. Per Mujica, tale decisione rischia di minacciare l’integrazione regionale ed esprime timore usando le seguenti parole:
“Dovremmo difenderci dinanzi al mondo come una squadra e non cadere nella trappola di attaccarci l’un l’altro, perché è proprio questo che la politica “insulare” dell’Argentina rischia di fare, rischia di frantumare il MERCOSUR”(9).
Al di là della questione del MERCORSUR, i rapporti tra Argentina e Uruguay sono sempre stati amichevoli e distesi nonostante tra i due paesi esista un motivo di attrito a cui entrambi hanno cercato più volte di ovviare.
La disputa della cartiera sul fiume Uruguay (finita dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia (10) nel 2006 per volontà del governo di Buenos Aires che accusava Montevideo di violare l’accordo bilaterale sullo sfruttamento del fiume e di inquinarlo con gli scarichi della cartiera presente in territorio uruguaiano) si è riaperta nell’ottobre del 2013, dopo che faticosamente fu raggiunto un accordo nel 2010 tra Mujica e la Kirchner relativo al mutuo controllo dell’inquinamento del fiume.
La decisione di Montevideo di aumentare la produzione di carta nello stabilimento a ridosso del fiume – a soli due chilometri dal confine argentino – e nelle zone di confine di Entre RíosGualeguaychú e Fray Bentos ha mandato su tutte le furie il Presidente argentino il quale ha minacciato di ricorrere nuovamente al giudizio della Corte sostenendo che l’aumento di produzione della cartiera andrebbe ad inquinare considerevolmente le acque di un fiume uruguaiano che è anche argentino (11). A tal proposito sarà interessante vedere come i due governi gestiranno il diverbio e se riusciranno ad evitare l’intervento della giustizia internazionale.
Questione delle cartiere a parte, le relazioni tra Argentina e Uruguay, come noto, sono sempre state caratterizzate da un rapporto di vicinato piuttosto civile e collaborativo, come testimonia l’accordo relativo all’iniziativa FREPLATA.
Detta iniziativa, sorta da un input congiunto dei due paesi, nel 2007 è culminata nell’adozione di un programma di azione strategico che, sotto l’egida dell’UNDP (United Nations Development Programme), si propone di tutelare le minacciate acque del Río de la Plata, confine marittimo delle due nazioni.
Le attività economiche sviluppate nelle zone costiere di entrambi i paesi, così come i centri urbani che si moltiplicano sulle sponde del fiume, da anni mettono in pericolo una delle aree più ricche di biodiversità del pianeta: lungo la costa argentina si concentra il 45% delle proprie attività industriali, mentre in Uruguay ben il 70% della popolazione è stanziata lungo la zona costiera dove si svolge anche la maggior parte delle attività commerciali, agricole e portuali(12).
I danni a scapito dell’ecosistema del Río de la Plata, che comportano rischi anche per la salute degli abitanti del luogo viste le alte concentrazioni di pesticidi, PCB, diossine e furani rilevate soprattutto lungo il tratto argentino, hanno richiesto uno sforzo congiunto tra i due paesi al fine di tutelare una risorsa naturale di grande valore, salvaguardando al tempo stesso una zona strategicamente fondamentale per le esportazioni marittime di entrambi i paesi.
Il modello economico e politico uruguaiano e il suo ruolo all’interno del MERCOSUR rendono questo paese una delle destinazioni preferite dagli investitori internazionali.
Nel corso degli anni sono aumentati esponenzialmente i Foreign Direct Investment (FDI) tanto che nel 2011 l’Uruguay si attestava al secondo posto dopo il Cile nella classifica dei paesi sudamericani con il più alto tasso di investimenti stranieri.
D’altronde una crescita economica sostenuta, la bassa percezione di corruzione, il basso tasso di criminalità e una situazione politica stabile non potevano passare inosservati agli occhi di quanti hanno visto nell’Uruguay il posto ideale dove far fiorire i propri investimenti.
Se a ciò aggiungiamo il fatto che la responsabile gestione finanziaria del paese ha permesso al PIL di crescere costantemente negli ultimi anni e che, per il 2014, il Fondo Monetario Internazionale prevede un incremento del prodotto interno lordo pari al 3,3%(13), stupiscono sempre meno i dati relativi al forte afflusso di investimenti esteri diretti in Uruguay.
Gli investimenti stranieri, storicamente provenienti da Argentina, Brasile, paesi europei e del NAFTA (North American Free Trade Agreement), si sono orientati verso diversi settori dell’economia uruguaiana tra cui la produzione agricola, l’industria manifatturiera e quella chimica. Inizialmente, nei primi anni del 2000, i principali investitori provenivano dall’Europa, in particolare dalla Spagna che concentrava i propri capitali in Uruguay nel settore delle infrastrutture.
Tuttavia dal 2006 tale andamento ha subito un’inversione di tendenza, in quanto sono diventati gli Stati del MERCOSUR ad essere i principali paesi d’origine degli investimenti esteri. In primis l’Argentina che, responsabile di quasi l’80% degli IDE provenienti dal blocco del MERCOSUR, ha investito soprattutto nel settore agricolo e in quello immobiliare (14).
Altri settori che sono stati oggetto di investimenti stranieri sono quello dei trasporti, del turismo e delle energie rinnovabili. Non a caso l’Uruguay è stato uno dei primi paesi sudamericani ad incoraggiare fortemente lo sviluppo di fonti di energie alternative, volendo modificare la propria matrice energetica a favore di un 15% di energia eolica e di un 13% di energia da biomassa (15). Gli sforzi di politica energetica portati avanti da Mujica, invero, stanno andando nella direzione della diversificazione dell’approvvigionamento energetico e dell’indipendenza energetica proprio attraverso un forte rilancio delle rinnovabili che hanno il merito di abbassare i costi medi di produzione di energia e ridurre gli impatti ambientali.
A tal scopo sono stati particolarmente agevolati gli investimenti nel settore delle energie rinnovabili, come stabilito dal decreto 354/2009 (16) che prevede incentivi fiscaliad hoc al fine di incrementare la partecipazione privata e così raggiungere gli obiettivi di sviluppo produttivo sostenibile fissati dal Governo.
La promozione degli investimenti esteri condotta da José Mujica si basa, quindi, sul concetto che gli stessi rappresentano un motore irrinunciabile per la crescita economica e lo sviluppo del paese e, in tema di Investment Promotion Regime, una serie di agevolazioni ed esenzioni fiscali sono le misure più attrattive previste dal suo governo per quanti coloro decideranno d’investire in Uruguay.
Il regime di promozione degli investimenti uruguaiano tende a riconoscere, come d’altronde succede nelle economie più sviluppate, l’assoluta parità di trattamento tra gli investitori locali e quelli stranieri oltre all’assenza di una autorizzazione preventiva degli investimenti. Il regime riconosce altresì la libertà di trasferimento all’estero dei capitali e dei profitti realizzati in patria dagli investitori nazionali e stranieri (17).
Tali agevolazioni non sono certo stati ignorati dagli attenti operatori economici cinesi che stanno volgendo lo sguardo con sempre più interesse al mercato uruguaiano.
Tra il 2005 e il 2012, infatti, gli scambi commerciali tra i due Stati sono aumentati del 680% e la Cina si è guadagnata il ruolo di secondo maggior partner commerciale dell’Uruguay. Proprio per questo nel mese di maggio José Mujica si è recato in Cina per vagliare non solo le possibilità di accrescimento dei rapporti commerciali ma anche quelle relative agli investimenti che i cinesi vogliono riservare al suo paese. Il Ministro degli Esteri uruguaiano Luis Almagro ha affermato:
“L’Uruguay attribuisce molta importanza alle sue relazioni con la Cina”
Ed ha aggiunto che:
“entrambi i paesi, le cui economie sono altamente complementari, sono interessati a portare avanti ogni forma di cooperazione da cui trarre importanti benefici”. (18)
Ricevendo Almagro a Pechino, il Presidente Xi Jinping ha ribadito l’interesse della Cina nel consolidare la fiducia politica e la piena collaborazione con l’Uruguay specie nei settori delle infrastrutture, dell’agricoltura e dell’industria manifatturiera. Sempre secondo Almagro:
“l’Uruguay è in grado di fornire numerosi vantaggi per gli investitori cinesi, tra cui un ambiente sicuro e affidabile, un’economia aperta, un grande mercato di consumo rappresentato dal MERCOSUR e un quadro giuridico completo, equo e sicuro per gli investitori”.
Impressionare positivamente i cinesi serviva al Presidente uruguaiano per sferrare il suo “colpo” più importante. José “Pepe” Mujica ha ottenuto il “sì” cinese al dragaggio di uno dei due canali di accesso al Río de la Plata, la cui sistemazione andrebbe a giovare al porto di Nueva Palmira, sulla costa ad ovest di Montevideo, da cui salpano ogni giorno grandissime quantità di grano, cellulosa e frutta prodotti in Uruguay e diretti in tutto il mondo, Cina compresa. Un vero e proprio sogno che diventa realtà per l’Uruguay sarebbe ottenere investimenti cinesi per la costruzione di un porto di acque profonde nell’Atlantico, nella provincia di Rocha a circa 150 chilometri dalla capitale.
Il progetto in questione risale a circa un secolo fa quando José Batlle y Ordoñez, eletto la prima volta nel 1903 alla Presidenza dell’Uruguay, considerò l’importanza di un porto ad acque profonde lungo la costa atlantica e la risonanza a livello economico e sociale che tale impresa avrebbe rappresentato per il suo paese. La questione del porto tornò a galla a metà degli anni cinquanta a causa dei problemi di acceso al Río de la Plata e delle continue dispute con l’Argentina, ma la mancanza di finanziamenti congelò nuovamente il progetto infrastrutturale (19).
Oggi finalmente l’Uruguay ha una concreta possibilità di veder realizzato tale sogno: la firma di un memorandum d’intesa con la Cina dà avvio al più grande progetto nonché al più grande investimento straniero nella storia del paese sudamericano. José Mujica spera di veder completata la costruzione del porto ad acque profonde lungo il confine con il Brasile, prima della fine del suo mandato nel 2014. Il porto, secondo Mujica, è:
“(…) strategico per lo sviluppo dell’Uruguay e non solo ha un altissimo valore geopolitico e commerciale ma rappresenterà anche una svolta nella progettazione dello sviluppo economico dell’Uruguay” (20)
Il progetto di costruzione del porto di La Paloma è considerata una vera e propria impresa regionale multimiliardaria che sarà completata sul suolo uruguaiano. Le stime iniziali prevedevano un costo di realizzazione di un miliardo di dollari anche se oggi questa cifra non sembra più tanto realistica e c’è chi addirittura prevede un raddoppio dei costi. Proprio in considerazione degli alti costi, l’Uruguay ha deciso di aprire l’investimento anche ad altri paesi.
All’ambizioso progetto sono interessati anche i vicini Paraguay e Bolivia che non hanno sbocco diretto sul mare e che vedono nel porto di La Paloma un canale redditizio per le loro esportazioni all’estero. Anche il Brasile, vero gigante commerciale della regione, considera il progetto portuale un’importante porta d’accesso all’Uruguay e una valida alternativa ai porti brasiliani ostruiti (21).
Riguardo agli investimenti cinesi promessi da Xi Jinping per lo sviluppo del progetto, Mujica ha mostrato tutta la sua gratitudine promettendo di agire da intermediario nella costruzione di forti e stabili relazioni economiche e diplomatiche tra la Cina e il resto dell’America Latina.
Quelli relativi al porto di La Paloma non sono gli unici investimenti cinesi a interessare l’Uruguay: oltre a molti progetti nel settore delle rinnovabili e a collaborazioni nei più disparati ambiti (si pensi al fatto che l’Uruguay è stato uno dei primi a firmare un accordo con la compagnia BYD per la consegna, entro il 2015, di più di 500 autobus alimentati al 100% elettricamente), un altro fondamentale progetto che gli investitori cinesi hanno intenzione di finanziare è quello relativo alla ricostruzione della ferrovia uruguaiana.
Modernizzare e incrementare l’esistente rete ferroviaria – oggi obsoleta e quasi in disuso – risulta infatti necessario per soddisfare le nuove esigenze commerciali di un paese in costante crescita come l’Uruguay. E’ a tal scopo che la China Development Bank stanzierà 1,443 miliardi di dollari per finanziare l’ambiziosa ristrutturazione che coinvolgerà circa 2.000 chilometri di binari, collegando Montevideo ai principali porti della regione e facilitando gli scambi con il Brasile.
Al tempo stesso l’Uruguay prevede di istituire un fondo fiduciario amministrato dalla Corporación Nacional para el Desarrollo (CND), le cui entrate – determinate dall’aumento del gettito fiscale che deriva dalla costante crescita del volume dello scambio commerciale tra Cina e Uruguay – dovrebbero coprire l’85% del costo dell’intero progetto nei prossimi tre anni.
Risulta dunque evidente come le relazioni tra i due Stati stiano andando nella direzione di una cooperazione sempre più stabile e orientata verso un’ottica di lungo periodo, nella consapevolezza delle reciproche opportunità che il mercato uruguaiano e quello cinese offrono l’uno per l’altro. Il gigante cinese appare sempre maggiormente determinato a ribadire il suo ruolo chiave in America Latina e l’Uruguay di Mujica non può che rappresentare un tassello chiave per il disegno strategico di Xi Jinping.
Nel suo piccolo, anche l’Italia ha avuto modo di ritagliarsi un proprio ruolo all’interno del panorama uruguaiano: la stabile congiuntura economica e i massici incentivi sugli investimenti hanno infatti attratto l’attenzione di un cospicuo numero di operatori italiani. Dal 1990, anno della firma dell’”Accordo sulla promozione e protezione degli investimenti” tra Italia e Uruguay, i rapporti economici tra i due Stati si sono costantemente rafforzati, tanto che il “Bel Paese” risulta oggi essere l’ottavo partner commerciale dell’Uruguay (il terzo se facciamo riferimento alla sola Unione Europea, preceduto da Francia e Germania) (22).
Incoraggiati dalla decisione dell’agenzia di rating Standard & Poors che ha concesso all’Uruguay la qualifica BBB- permettendo al paese di passare dallo speculative gradeall’investment grade (23), gli investitori italiani hanno scommesso principalmente nel settore immobiliare, in quello agricolo e, soprattutto nell’ultimo periodo, in quello dei servizi aeroportuali e finanziari.
Tale dinamismo commerciale si evince anche dai contatti diplomatici tra i due Stati che si stanno moltiplicando anche a livello territoriale: alle recentissime visite di José Mujica in Italia e a quella dell’Onorevole Fabio Porta ed Eugenio Marino – responsabile italiani nel mondo del PD – per discutere di internazionalizzazione delle imprese italiane, si devono aggiungere le iniziative che diverse regioni stanno portando avanti autonomamente.
Un esempio lampante è l’accordo firmato lo scorso giugno dal Presidente della Regione Marche Gian Mario Spacca con l’ambasciatore uruguaiano in Italia Gustavo Goyoaga, accordo volto a consolidare le relazioni bilaterali incoraggiando così le opportunità di investimento e incrementando i rapporti tra le cooperative marchigiane e uruguaiane (24).
Non da meno anche il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, il quale ha accettato, su invito dello stesso Mujica, di recarsi in Uruguay a fine gennaio per siglare un protocollo d’intesa che potenzierà gli scambi commerciali tra le due aree, con particolare riferimento all’ambito agricolo.
Così come i cinesi, dunque, anche gli operatori italiani si sono resi conto del potenziale del paese sudamericano, decidendo di scommettere su un Stato “vincente” sotto diversi punti di vista, non a caso proprio quest’anno l’Economist ha incoronato l’Uruguay di Mujica come “il paese dell’anno”.
Per l’autorevole rivista britannica, l’Uruguay rappresenta una nazione simbolo le cui innovazioni e riforme attuate, se imitate, potrebbero essere utili al resto del mondo. Unioni gay e legalizzazione della marijuana – sempre secondo l’Economist – hanno aumentato il benessere sociale senza costi finanziari, permettendo in aggiunta di distruggere il mercato nero della droga e combattere concretamente la criminalità organizzata (25).
Maya Santamaria e Martina Zannotti sono ricercatrici associate del programma di ricerca "America Latina" dell'IsAG.
Fonte: www.geopolitica-rivista.org
Link: http://www.geopolitica-rivista.org/24728/jose-mujica-il-miglior-presidente-del-mondo-incoraggia-gli-investimenti-esteri/

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