lunedì 9 febbraio 2015

L’Alleanza atlantica mobilita 30mila militari al confine russo

Per i ministri della difesa della Nato, riuniti ieri a Bruxelles, è stata «una giornata molto intensa». Dopo l’incontro bilaterale in cui il ministro Usa della difesa Chuch Hagel ha trasmesso le istruzioni al segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, si è riunito il Gruppo di pianificazione nucleare
(a cui partecipa anche l’Italia, violando il Trattato di non-proliferazione). Non si sa che cosa abbia deciso, dato che non è stato emesso alcun comunicato. Ma, poiché Washington ha ribadito che «la Nato resterà una alleanza nucleare», si può dedurre che sia stato deciso di accelerare l’«ammodernamento» delle forze nucleari Usa schierate in Europa (Italia compresa) e il potenziamento di quelle francesi e britanniche. Si è quindi riunita la Commissione Nato-Georgia, apprezzando il contributo georgiano alle operazioni in Afghanistan e alla «Forza di risposta della Nato» (viatico per l’ormai certa ammissione della Georgia nell’Alleanza).

Dopo questa costruttiva premessa, si svolta la riunione del Consiglio Nord Atlantico con la partecipazione dei 28 ministri della difesa, annunciando che la Nato ha deciso di potenziare le sue forze militari per condurre «l’intera gamma di missioni» e «affrontare le sfide da qualsiasi direzione provengano». Con particolare riferimento all’Ucraina, dove «la violenza sta crescendo» perché «la Russia continua a violare le norme internazionali sostenendo i separatisti», e all’«estremismo violento che si sta diffondendo in Nordafrica e Medioriente». A tale scopo sarà potenziata la «Forza di risposta della Nato», portandola da 13mila a 30mila uomini e stabilendo unità di comando e controllo in sei paesi dell’Europa orientale. Sarà formata allo stesso tempo una «Forza di punta», composta da 5mila uomini, dispiegabile in pochi giorni.

La Nato (e con essa l’Italia) è dunque in guerra su due fronti, orientale e meridionale. Come si è potuti arrivare a tale situazione? Finita la guerra fredda, gli Usa si servono della Nato per mantenere la loro leadership sull’Europa occidentale e allo stesso tempo conquistare quella orientale. Demolita con la guerra la Jugoslavia, la Nato si estende a est, inglobando tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, due della ex Jugoslavia e tre dell’ex Urss. Entrando nella Nato, i paesi dell’Est vengono a dipendere più da Washington che da BruxelIes. Qualcosa però inceppa il piano di conquista: la Russia si riprende in gran parte dalla crisi, stringe crescenti relazioni economiche con la Ue, fornendole il grosso del gas naturale, e apre nuovi sbocchi commerciali con la Cina. Ciò mette in pericolo gli interessi strategici statunitensi. È a questo punto che scoppia la crisi in Ucraina: dopo aver assunto con un lavoro di anni il controllo di posizioni chiave nelle forze armate e addestrato i gruppi neonazisti, la Nato promuove il putch di Kiev. Costringe così Mosca a muoversi in difesa dei russi di Ucraina, esponendosi alle sanzioni di Usa e Ue. E le controsanzioni russe, danneggiando soprattutto la Ue, facilitano il piano della partnership transatlantica per il commercio e gli investimenti attraverso cui Washington cerca di accrescere l’influenza statunitense sull’Unione europea.

Contemporaneamente, sotto guida Usa, la Nato estende la sua strategia al Nordafrica e Medioriente. La demolizione della Libia con la guerra, l’analoga operazione lanciata in Siria, il rilancio della guerra in Iraq, l’uso a doppio taglio di formazioni islamiche (sostenute per abbattere i governi presi di mira, usate quindi per giustificare altri interventi armati) rientrano nella strategia Usa/Nato.
Manlio Dinucci - tratto da Il Manifesto

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