mercoledì 21 gennaio 2015

SE IL RISCHIO D'ACQUISTO DI TITOLI DI STATO VERRA' DIROTTATO DALLA BCE ALLE BANCHE NAZIONALI, EURO E UE SONO FINITE.

SE IL RISCHIO D'ACQUISTO DI TITOLI DI STATO VERRA' DIROTTATO DALLA BCE ALLE BANCHE NAZIONALI, EURO E UE SONO FINITE.


Duro monito dell'ex componente del direttorio della Bce Athanasios Orphanides: segregare gli acquisti di titoli di Stato effettuati dall'istituzione europea nei bilanci delle rispettive banche centrali nazionali segnerebbe il "divorzio" nell'Unione monetaria. Un "divorzio di velluto", lo ha definito l'ex governatore della banca centrale di Cipro e ex consulente della Federal Reserve, in riferimento alla "rivoluzione di velluto", quella che portò alla divisione non violenta della Cecoslovacchia in due Stati distinti.

Non solo, "se venisse accettato il principio che il modus operandi dell'area euro è quello di evitare problemi con la Germania, e che le azioni della Bce sono vincolate a quello che sta meglio alla Germania - ha detto in una intervista al Financial Times - tutto questo sarebbe incoerente e violerebbe i trattati europei".
Giovedì a Francoforte si riunirà il Consiglio direttivo Bce, in cui siedono tutti i governatori di Banche centrali di Eurolandia (fino al 2012 incluso Orphanides) ed è ampiamente atteso che vari un ampio piano di acquisti di titoli di Stato, un "quantitative easing" per scongiurare i rischi di deflazione. Secondo diffuse ricostruzioni di stampa, per favorire il supporto a questa manovre sotto vari aspetti controversa, il presidente Mario Draghi potrebbe appunto proporre di evitare la "condivisione dei rischi" facendo ricadere i titoli di Stato sui bilanci delle rispettive Banche centrali.
Le obiezioni di Orphanides, che ora insegna economia al prestigioso Massachussets Institute of Technology sono accuratamente argomentate. Finora la Bce ha sempre osservato il principio della condivisione dei rischi, in base alle quote di capitale degli Stati membri. Soprattutto "nessuno ha obiettato nulla e tutti hanno pagato" quando questo risultò favorevole alla Germania: quando a seguito del crack di Lehman Brothers vi furono perdite sui titoli che la Bundesbank tedesca e la Banca del Lussemburgo avevano accettato come garanzie.
"Cambiare le regole sulla condivisione dei rischi danneggerebbe certamente l'efficacia del Qe. Non sarebbe la cosa migliore per l'area euro come insieme - ha concluso - e non aiuterebbe a sostenere una politica monetaria unica".
In una intervista in parallelo concessa a Repubblica, Orphanides critica anche l'ammontare del piano di acquisti studiato dalla Bce, indicato sempre in questi giorni da indiscrezioni di stampa: 500 miliardi di euro o poco più.
"La tragica ironia è che aver ritardato il Qe quando serviva, esitando tanto a lungo, ha fatto sì che le quantità di acquisti ora debbano essere molto più vaste. Secondo me, a questo punto servono duemila miliardi", ha detto.
L'intervento, anche se tardivo può funzionare ma "va attuato evitando ulteriori, disastrosi errori. Una politica monetaria unica significa responsabilità comune e congiunta su profitti e perdite. Alla Bce è sempre stato così. Sarebbe un tragico errore se ora l'istituzione deviasse dalla norma".
L'ex banchiere centrale cipriota critica duramente le scelte di Berlino. "La Germania è il Paese che ha beneficiato di più dalla crisi nella zona euro" e intanto "durante la crisi ha bloccato un certo numero di decisioni che, se adottate, avrebbero molto migliorato le prospettive dell'area. Aver impedito una vera unione bancaria implica che le condizioni del credito nella zona euro restino molto diseguali. Il problema di fondo è questo rifiuto di accettare una comune responsabilità per il disastro degli ultimi anni".
Se non verrà varato un QE da duemila miliardi di euro e se - peggio - verrà suddiviso tra le diverse banche nazionali, come ad esempio Banca d'Italia, la fine dell'euro è segnata, conclude lo studioso.
Redazione Milano.
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