sabato 22 novembre 2014

LA CINA, OVVERO LA FINE DEL MONDO

Di Charles Humphrey
Una foschia impenetrabile così densa che il sole è solo un bagliore rossastro, una candela nella nebbia. Motorini elettrici e a gas aggiustati alla bell’e meglio con tubi di acciaio e pellicola di plastica per proteggere i passengeri dal vento e dal freddo. Spazzatura sparsa per le strade di giorno e poi ammassata e data alle fiamme per scaldarsi di notte.
Ragazzi di strada con visi spenti, abiti strappati e scarpe lacere, gli occhi vuoti per la droga, la disperazione e la malnutrizione. Donne disponibili a prezzi di svendita, visi annoiati sui divani che guardano la televisione e fumano sigarette Zhongnanhai sotto luci rosa. Si limano le unghie e parlano senza senso, in scene quasi casalinghe. Le insegne e i cartelloni che promettono protesi al seno, liposuzioni e aborti sono di gran lunga più numerosi di quelli che pubblicizzano la soda o la crema da barba, in una visione radicalmente alterata della normalità.
Costruzione e demolizione costante, macerie e barattoli di vernice vuoti. Costruzione e ricostruzione e demolizione e restauro e antichizzazione ancora e ancora a un passo sempre più veloce, senza inizio o fine. Il conseguente disordine che rimodella continuamente il paesaggio dell’esperienza; giorno dopo giorno nuove recinzioni vengono erette e penetrate, muri di acciaio ondulato dipinto di blu impediscono l’accesso ai negozi preferiti, marciapiedi vengono sollevati e muri di mattoni costruiti, abbattuti e ricostruiti nel giro di pochi giorni senza motivo apparente. Una completa perdita di contesto o significato, null’altro che un moto frenetico per creare l’illusione del movimento, per nascondere la verità abbagliante che non sta succedendo nulla.
Questa è Pechino. Dove ho già visto tutto questo? Le cose che vedo sono come un sogno che ho fatto fin da bambino, un’esperienza inspiegabile, un ricordo allo stesso tempo confortante e terrificante. Dove ho già visto quei venditori ambulanti, gli ombrelli, il vapore che sale, gli incarti gettati nelle strade rese scivolose dalla pioggia, con le luci fluorescenti che vi si riflettono? Dove ho già provato la paura del potere ufficiale, dove perfino la guardia vestita da poliziotto al cancello dell’università, come un re del formicaio, è un nemico che sto sempre cercando di placare? Dove ho già sentito quell’ansia che il vigile del fuoco potrebbe voler trarre profitto dall’ispezione di sicurezza del mio appartamento di cemento? Perché mi è tutto così familiare?
Peki gente con mascara
E poi l’ho capito. Questa è la fine del mondo. Pechino ne è il ground zero. Il filosofo Slavoj Žižek, nel suo “Benvenuti nel deserto del reale” ha scritto che gli americani sono stati impressionati dalla vista delle torri gemelle che crollavano perché era la manifestazione reale di qualcosa che avevano già provato innumerevoli volte nelle loro vite virtuali. La sequenza del film d’azione con l’aereo e l’esplosione, il fumo e le grida, l’eroismo e il lutto: l’avevano sperimentato in centinaia di variazioni.
E ora mi rendo conto che ciò che mi attira a Pechino è il modo in cui il reale si collega alle esperienze virtuali che ho fatto tante e tante volte. Pechino è l’apocalisse che ho visto in film come Children of Men, Blade Runner, Mad Max e altri. Non un’apocalisse di asteroidi, lava e ghiacciai che si sciolgono, ma un’apocalisse psichica, un collasso dell’ordine e della ragione provocato proprio dalla logica che avrebbe dovuto portarli. Un’apocalisse che lascia intatto il guscio dell’ordine sociale mentre gli individui cadono nel loro inferno personale. Questo è l’apice dell’apocalisse capitalista, la realizzazione finale degli incubi della modernità.
Pechino è gestita con la logica della Ragione Riflessiva contro cui ammoniva Kierkegaard: un incubo orwelliano popolato da “ultimi uomini” nietzscheani che non possono più osare nemmeno di sognare un’utopia sociale marxista, leninista o perfino maoista. […]
La Cina viene spesso dipinta come un paese arretrato che sta cercando di mettersi alla pari con l’Occidente. La triste realtà è che la Cina è già molto più avanti in questo punto fondamentale: i cinesi hanno interiorizzato l’orripilante realtà nella quale l’organizzazione sociale si basa sul modello economico lineare di crescita capitalista. Non c’è Messia nel capitalismo globale. Non c’è fine, non c’è speranza, né sogni, né scopo; solo un sempre maggiore movimento senza spostamento in alcuna direzione. Sviluppo senza progresso, cambiamento senza contesto, lavoro senza scopo. Questa è la fine del nostro mondo mentale, la morte delle nostre storie, e Pechino ne è il ground zero.
Si possono vedere i segni della disintegrazione delle categorie di significato per le strade e nella vita quotidiana. La perdita di distinzione tra sviluppo e regressione, tra crescita e decadenza, così chiaramente rivelata nell’incessante costruzione e demolizione e nelle macerie che produce, viene replicata in ogni ambito della vita sociale. Che cos’è il crimine, quando è indistinguibile dalle attività quotidiane degli uomini d’affari, degli ufficiali governativi e della polizia? Come si può mantenere la dicotomia criminale/lecito quando è generalmente accettato che la logica della crescita e del profitto detti che tutti, dal più piccolo negoziante al massimo ufficiale di governo, abbiano interesse ad aggirare le regole per “sviluppare l’economia”?
Come si può mantenere la distinzione tra buoni genitori e abuso di minori quando, per spingere i bambini al massimo successo accademico, si controlla ogni loro movimento e decisione tramite la violenza fisica e psicologica? Cos’è la salute e cosa la malattia, quando i medici trattano allegramente il più piccolo malanno bombardando a tappeto il corpo con ogni medicina possano vendere al paziente?
I segni mentali e sociali della perdita di significato a Pechino sono scritti nella psiche di quanti hanno lavorato abbastanza a lungo da abbandonare le loro illusioni infantili. Le giovani menti vengono inseminate da illusioni di Stato dal passato comunista, pensate per isolare temporaneamente i bambini da questa realtà: un’impalcatura mentale per proteggere la loro integrità fin quando la necessaria programmazione è completata. Parole come “armonia” e “il popolo” vengono spruzzate in tutte le dichiarazioni pubbliche per nascondere la decadenza al cuore della società.
La disperazione è oggi lo stato d’animo standard della gran parte di giovani professionisti e studenti universitari. Una disperazione che viene spesso espressa dai miei studenti che scappano con la mente dalle loro lezioni, e dai miei giovani e ben istruiti amici professionisti che devono lottare strenuamente per sopravvivere, cedendo spesso e domandando a chiunque li ascolti, spesso a pagamento: “Per cosa sto vivendo?” Agli studenti vengono imposti i corsi in base ai capricci dei loro genitori e alle offerte delle loro università; vengono sottoposti a studio con ripetizione meccanica per 30 o più ore a settimana. I giovani professionisti lavorano fino allo sfinimento per meno di 1000 dollari al mese, vivendo in appartamenti minuscoli gestiti in oligopolio da cartelli immobiliari quasi criminali nel mercato completamente senza regole degli affitti. Pagano 500 dollari al mese, almeno 4 mesi di anticipo, senza opzione di sub-affitto e con una pletora di altri costi che l’agenzia cercherà di far loro accettare con l’inganno. La maggior parte di loro fa fatica a tirare avanti, mentre dà una mano ai genitori che invecchiano. La loro unica speranza è di imparare i trucchi del mestiere, a imbrogliare, truffare, estorcere e corrompere per raggiungere un po’ di qualità della vita.
E’ la moderna versione da economia dell’informazione della scena di Metropolis, di Fritz Lang, nella quale il giovane Freder guarda le masse di lavoratori mentre vengono date in pasto alle mandibole del Molosso meccanico. Una generazione di giovani, che, se fosse stata data loro l’opportunità di respirare, avrebbero potuto avere influenze positive sulle loro comunità, sviluppare nuove idee, essere buoni genitori e contribuire a una società migliore, sta invece venendo consumata senza pietà e lasciata poi esaurita e ammalata una volta raggiunta la quarantina, quando spesso fa rivivere a sua volta i propri traumi psicologici all’unico figlio permesso. E le cose potranno solo peggiorare.
A noi in Occidente piace usare questi fatti per criticare la Cina, ci piace paragonare Pechino alle colonie di formiche e i cinesi a robot disumani. Ci pregiamo di accusare il governo cinese perché non fa rispettare le leggi, di incolparlo per l’impoverimento dello spirito cinese e lo sradicamento di 5000 anni di cultura. La realtà è che i cinesi sono soltanto molto veloci ad imparare. Le società occidentali hanno sviluppato e imposto al mondo un modello di organizzazione sociale che è privo delle distinzioni concettuali necessarie per creare contenuti sociali e psicologici significativi. Una semplice equazione binaria, una serie di più o meno numerici è stata adottata come la nostra determinante di valore, stabilità e significato.
Noi in Occidente siamo stati abbastanza fortunati da aver ammassato nel secolo scorso abbastanza potere e ricchezza per permetterci fino a poco tempo fa di isolarci dall’impoverimento mentale che abbiamo imposto ad altri. I cinesi, senza questo lusso, hanno capito la vera natura del Nuovo Ordine Mondiale più velocemente e meglio di qualsiasi altra nazione. Questo è il modo in cui la Cina è diventata il sito della Fine del Mondo. Non è una “fine” nel senso di estinzione, ma nel senso di realizzazione, rivelazione, scopo. E’ la manifestazione del sogno di un sistema capitalista di organizzazione sociale basato interamente sulla logica binaria della crescita finanziaria.
Questo è il mondo che abbiamo creato e questa è la sua Fine, allo stesso tempo il termine del vecchio mondo di significati e l’inizio di un nuovo mondo privo delle storie e delle distinzioni che danno significato alla vita individuale e collettiva. Pechino è la Fine del Mondo, il nostro insulso obiettivo, l’incubo che abbiamo collettivamente abbracciato. Nel 20° secolo abbiamo sognato un futuro composto di uno e zero, dove uomo e macchina sarebbero stati una cosa sola. Pechino è la Fine del Mondo non perché la Cina sia il futuro, ma perché, nel futuro che abbiamo scelto di perseguire, saremo tutti cinesi.
Traduzione: Anacronista

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