venerdì 19 settembre 2014

Capire l’indipendentismo nella “Scozia d’Italia”

di Alex Angelo D’Addio

Il senso etimologico di indipendenza non si fregia di esclusività d’accezione, tenendo presente che l’essenza del termine abbia contraddistinto molteplici fasi della storia sociopolitica dell’umanità: “essere indipendente” è prerogativa determinante per chi voglia guadagnarsi un’immortalità nell’immaginario collettivo della governance, ma non spiega adeguatamente ed esaustivamente il privilegio del godere di un’imprescindibile capacità di manovra.

In concreto, l’indipendenza moderna e quella contemporanea ci hanno impartito lezioni di gestione slegata alle dinamiche esogene del potere dominante e disinteressato al comune benessere interno e, in sintesi, hanno concesso nuova linfa all’odiernamente ripudiato e cinquecentesco principio della sovranità assoluta.
Nello scenario quotidiano, la stragrande maggioranza dei Paesi e delle territorialità occidentali richiede a gran voce il ripristino dell’ancestrale condizione “inalienabile ed indivisibile” – citando Rousseau – della superiorità sovranista e specialmente in Europa l’onda indipendentista ha contribuito alla riscossa di referendarie prese di posizione dei popoli, esausti dei perenni soprusi legalizzati ed asfissiati da politiche di austerità che stanno tramortendo soltanto il tessuto sociale, non sfiorando minimamente la tecnocrazia dell’asse palazzinara dell’Unione Europea.
I precedenti garantiscono enorme valore all’attuale desiderio di alcuni Stati di svincolarsi dalle tenaglie del comunitarismo ed abbracciare nell’immediato la croce di una settoriale ripartenza, forse pesante nelle battute iniziali, ma tradizionalmente e sensatamente conveniente nel successivo divenire. Infatti, i moti nazionalisti del 1848 sono l’esempio lampante, benché abbiano evidenziato quanto la pesantezza dei secoli purtroppo nulla abbia insegnato alle classi dirigenti passate e presenti ed il peggio in tutto ciò è che l’inefficacia di alcuni dettami non venga revisionata o almeno messa in discussione, perché è quasi scontato accettare che il sistema prosegua crudo ed inesorabile a defraudare ingiustamente le fondamenta e a incutere timore, rassegnandosi a questo e pensandolo come sola via percorribile, nonostante soffochi e crei disagio.
Avranno però confutato questo tipo di forma mentis le ultime anime raziocinanti e non asservite al dogma “Consumare merci e sopportare il mondo” residenti in Scozia, viste le condivisibili istanze che nei prossimi giorni porteranno ad un risultato decisivo per il futuro della penisola: stabilire o meno se i cittadini siano disposti a distogliersi dalla morsa praticamente imperialista dell’Inghilterra.
Oltre il fatto che stiano conducendo questa battaglia da sempre, le proposte scozzesi collimano in sostanza con le richieste del Veneto di qualche mese fa, ovviamente in forme diverse. La Scozia rivendica la sua identità nazionale e vuole che la britannica “mano invisibile”, teorizzata dal padre dell’economia classica Adam Smith, non ingerisca ulteriormente nella sue istituzioni, aggrappandosi all’incontrovertibilità della Magistra Vitae: prima di contestare i diktat economico-monetari della Regina, la mobilitazione scota incentra la ragione della protesta nella memoria della dinastia Stuart e in particolare di Giacomo I, a cui le dottrine riconoscono il merito di aver solcato nella metà del Quattrocento la strada giuridico-politica al costituzionalismo e al repubblicanesimo, base per il proseguo di stabilità sociale e civile e malgrado gli anglosassoni abbiano indebitamente millantato onori di primato.
I veneti invece esigono che, tramite una corretta ed equa distribuzione della tassazione, l’apparato industriale e genericamente produttivo locale, che ha contribuito a rendere competitiva l’Italia dal Miracolo Economico, torni ad incrementare la prosperità della loro regione, piuttosto che rendere ancora conto al famelico appetito dei voluminosi burocrati e politicanti capitolini, stante che per decenni la fiscalità veneta abbia composto la maggior parte delle entrate contributive di Roma.
In linea di massima, qualsiasi iniziativa si propugni, sarà volta a sgominare l’imperante ordine dell’UE e al conseguimento di un’autonomia che concentri risoluzioni sulle imposte, sulla moneta unica e sulle facoltà occupazionali delle Nazioni. Il fervente intento di rivalsa delle coscienze popolari è il prodotto di politiche completamente erronee, dedite ad incamerare profitti istantanei, senza prodigarsi alle sorti venture, e ad ottenere utilità hic et nunc, screditando l’efficacia della progettualità. Alessandro Pizzorno affermava che quando i politici smetteranno di premurarsi delle questioni di lungo periodo di coloro che dovrebbero rappresentare e da cui sono legittimati, il blocco popolare sovvertirà l’obsoleta e fatiscente struttura della democrazia delegante per osannare la democrazia diretta, ove il soggetto civico sia fulcro di incisività decisionale. È questo il giorno?

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