giovedì 10 aprile 2014

Il potere della disinformazione mediatica


Di Giacomo Belisario

La globalizzazione, considerata dal punto di vista culturale, si basa sull’affermazione dell’idea di una società mondializzata dell’informazione, dove la massa prevale sul singolo: positivamente perchè vi è l’affermazione della democrazia e del diffuso benessere, negativamente perchè vi è un processo di appiattimento della psiche e di condizionamento della libertà di scelta e opinione. Le cause principali di questo fenomeno sono individuabili nel sistema totalitario delle comunicazioni, i cosiddetti “mass media”, controllato da pochi personaggi di spicco che, manipolando intimi conoscenti, giornalisti e conduttori televisivi, riescono a imporre tutto ciò che porta loro vantaggio. Questo sistema è talmente forte che ogni tentativo di opporsi a questa compagine, dando l’opportunità di aprirsi alla libertà di pensiero e di parola, è stato annientato -esempio tangibile è la chiusura o la censura di svariati programmi indipendenti che tendono a separarsi da questa malsana struttura “oligarchica”­.
Ma quali sono gli effetti della diffusione dei mezzi di comunicazione?  Oggi, i mass media permettono alla maggior parte delle persone di avere accesso a una fonte primaria di notizie e di informazioni che, però, sono contaminate, incomplete, e talvolta inattendibili, a tal punto da conformare gli atteggiamenti, le opinioni, i valori e i prototipi di comportamento della massa. La “scatola” può anche danneggiare le nostre personalità che, diffondendo valori e modelli di comportamento falsati e degradanti, mandando in onda reality show e quiz televisivi, trasmettendo pubblicità profittatrici che inducono al consumismo, esaltando false visioni della vita, contribuisce a inculcare il relativismo morale e a incrementare  il conformismo. Spesso, dunque, gli individui si trovano a subire delle pressioni provenienti da altri, che spingono loro a uniformarsi ad alcune idee. Ora, se in taluni casi l’influenza è reciproca, dando luogo così ad una molteplicità di fonti e di bersagli influenzabili, altre volte, invece, può verificarsi che l’influenza si manifesti in una sola direzione: quella espressa dalla maggioranza.
È necessario perciò lottare contro la privatizzazione e la mercificazione dell’informazione, avviando una ‘insurrezione’ di coscienza che riesca a porre alla ribalta il problema”. Ecco perché, occorre arrivare ad una conseguenza istituzionale, magari formando un comitato di “mediaetica” incaricato di vegliare sul sistema e difendere i valori fondamentali dell’etica. Più etica può significare anche più affari, laddove si giunga ad un lavoro basato su più verità dei fatti, più qualità dell’informazione, più cultura, in un sistema mediatico dominato dalle immagini e perciò frammentato e bisognoso di approfondimenti di qualità. L’informazione, oggi, significa “potere”. Una volta poteva anche assumere il senso di “verità”, intesa non come assoluta oggettività (quasi impossibile da praticare), bensì come ricerca dettagliata dei fatti, scevra da pressioni dei vari poteri forti. Informare deve essere un’operazione di onestà. Ciò non significa che non dobbiamo essere sempre più esigenti nella ricerca della verità dei fatti. Dobbiamo renderci conto del potere della verità: una volta detta, difficilmente può essere distrutta.
A tal proposito citiamo il testamento morale di Steve Jobs:”Il vostro tempo è limitato, allora non buttatelo vivendo la vita di qualcun altro. Non crediate che il rumore delle opinioni degli altri affoghi la vostra voce interiore. Abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno già cosa voi volete davvero diventare. Tutto il resto è secondario”.

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