mercoledì 19 febbraio 2014

Le frontiere orientali della UE: Prut, Dnepr o Don?

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Quando la cancelliera tedesca Angela Merkel chiede pubblicamente di dare spazio a ulteriori negoziati tra il presidente ucraino e i leader dell’opposizione prima di decidere eventuali sanzioni, tutti capiscono bene che pensa a sanzioni contro il Presidente Viktor Janukovich e il suo ambiente e non contro la destra militante per le strade di Kiev. Come potrebbe essere altrimenti? La nota fondazione del suo partito, la Konrad-Adenauer-Stiftung, ha fatto del pugile tedesco Vitalij Klishko una figura politica, sostenendone così l’ascesa a leader di spicco dell’opposizione. E il suo ex-ministro degli Esteri, Guido Westerwelle, si trovava chiaramente in prima linea nella manifestazione contro il parlamento e la presidenza, insieme ad Oleg Tjagnybok dell’estrema destra di “Svoboda”. Tale alleanza non è nuova. Diamo uno sguardo ai lunghi legami storici tra i rappresentanti dei principali Paesi occidentali e i reazionari secessionisti ucraini.

Non vogliamo risalire al 1772, quando Vienna, centro del “Sacro Romano Impero della nazione tedesca” prese il controllo su regioni dello Stato polacco, subordinando agli Asburgo la popolazione multi-etnica (soprattutto polacca e ucraina) della Galizia. Né vogliamo concentrarci sull’intervento culturale del re polacco Sigismondo III, che impose ai cristiani ortodossi l’unione con il cristianesimo latino, nell’“Unione di Brest” del 1594-1595. Nella seconda metà del 18° secolo, tale accaparramento di anime ortodosse fu rinnovato sotto la bandiera della sovrana viennese Maria Teresa. L’imposizione  di vescovi e diocesi greco-cattoliche mise milioni di ucraini sotto la giurisdizione religiosa di Roma, senza spingerli alla liturgia latina. La storica divisione tra l’Ucraina occidentale ed orientale si  radicò con questi fatti.
L’opposizione di oggi a piazza Majdan s’identifica con personaggi storici molto più pericolosi. E Berlino, Vienna e Bruxelles, per non parlare di Varsavia, ne sono responsabili. L’estrema destra  domina le strade della capitale ucraina. Celebra apertamente gli eroi fascisti degli anni ’30 e ’40. E l’occidente applaude. Alcuni possono dire che sia un’ironia che la Germania e l’Unione europea ufficialmente colgano ogni occasione per screditare e combattere i cosiddetti populisti di destra a casa, e allo stesso tempo sostenere la coalizione ucraina dei tre gruppi d’opposizione e blocchi radicali nelle loro manifestazioni. Non la consideriamo un’ironia, ma un’alleanza strategica dalle radici storiche. Da generazioni gli ucraini antirussi sono strumentalizzati dalla politica occidentale, senza raggiungere i propri obiettivi nazionali, tuttavia. Basta dare uno sguardo a “Svoboda” di Oleg Tjagnybok, che ha sostenuto l’arancione Viktor Jushenko e le sue campagne presidenziali dal 2001. Entrambi, e molti altri del movimento d’opposizione, combattono nella tradizione di Stepan Bandera, una delle principali figure dell’”Organizzazione dei nazionalisti ucraini” (OUN). Bandera fu liberato dal carcere nel settembre 1939, quando laWehrmacht invase la Polonia. Sotto la giurisdizione polacca fu condannato a morte, e poi all’ergastolo, per aver ucciso il ministro polacco degli interni Bronislaw Pieracki, nel 1934. Dopo l’occupazione tedesca della Galizia polacca, che fu incorporata dall’Unione Sovietica secondo il Patto Hitler-Stalin del 1939, Bandera fu sostenuto da Berlino e la sua OUN combatté al fronte contro l’Armata Rossa, nell’ambito in cui massacrò centinaia di ebrei e comunisti il 30 giugno 1941 a Leopoli, protetta dalla Wehrmacht. Stepan Bandera e la sua “Organizzazione dei nazionalisti ucraini” (OUN), tra l’altro fondata a Vienna nel febbraio 1929, oggi sono presenti nelle regioni occidentali dell’Ucraina, soprattutto quelle che appartennero all’impero austro-ungarico tra il 1772 e il 1918. Monumenti di Bandera si trovano in più di 25 città, come Lvov, Ternopol, Ivano-Frankovsk e molti altri. Otto città lo onorano con titoli di cittadino onorario, e molte strade hanno il suo nome. Il 22 gennaio 2010, il “Giorno dell’Unità dell’Ucraina”, il presidente Viktor Jushenko conferì a Bandera il titolo di “Eroe dell’Ucraina”.
Alla fine, Bandera si rivelò un “eroe” tragico. Il suo piano di Stato ucraino indipendente fallì. Berlino si oppose, la visione del “Grossraum” nazista non prevedeva statualità indipendenti. Bandera cadde in disgrazia e imprigionato nel 1942. Solo quando il fronte avanzò verso ovest, Hitler nuovamente si ricordò delle qualità antirussa e antisovietica (per non parlare di quella anti-polacca) di Bandera e lo liberò nel settembre del 1944. Bandera per la seconda volta collaborò con i nazisti. L’”esercito insurrezionale ucraino”, fondato nell’ottobre del 1942 dai radicali dell’OUN-B, compì il suo dovere contro Mosca ben oltre la fine della seconda guerra mondiale, quando l’Unione Sovietica dominava tutta l’Ucraina. Dopo la resa della Germania nazista, i combattenti di Bandera passarono le linee dell’Armata Rossa e iniziarono un decennio di guerra sporca. Londra e Washington li aiutarono, paracadutando combattenti contro i rossi. Bandera fuggì a Monaco di Baviera, dove visse sotto falso nome, a quanto pare protetto dalle autorità tedesche, finché un agente del KGB l’uccise davanti all’appartamento, nell’ottobre 1959.
Dall’“Unione pan-ucraina Svoboda” a Jushenko e le piazze di Kiev, Stepan Bandera è il modello storico di loro idea del futuro ucraino. Uno slogan usato spesso negli anni ’90 sul “ritorno in Europa” degli Stati post-sovietici dell’Europa orientale implica una verità indesiderata: dopo il periodo sovietico, l’Ucraina è tornata alla situazione precedente il 1945. In questo senso la percezione di Bandera come eroe è una conseguenza logica.“Svoboda”, la destra radicale parlamentare ucraina e una delle forze dominanti della piazza di Kiev, è il portabandiera di tale patrimonio. Fondata nel 1991 come “Partito Social-Nazionale di Ucraina”, ebbe i primi voti durante la lotta per le chiese. Nel 1992 e 1993 i greco-cattolici ucraini occidentali, illegali durante il periodo sovietico, cercarono di occupare le chiese del patriarcato di Mosca aggredendo e uccidendo preti ortodossi. I socialnazionalisti erano in prima linea in tale sanguinosa battaglia, ideologicamente sostenuta dalla fondazione viennese “Pro Oriente”. Tale organizzazione cattolica promuove ufficialmente le buone relazioni tra tutte le chiese cristiane, sotto l’egida del papa romano,  compiendo anche proselitismi. Agli atei (e ai comunisti) è vietato aderire a “Svoboda”, come l’homepage del partito dichiara apertamente. La sua percezione della storia definisce gli anni tra il 1918 e il 1991 “come periodo di occupazione della Russia bolscevica”, anche se le province occidentali dell’Ucraina di oggi erano sotto il dominio polacco tra le due guerre. La posizione ideologica è senza dubbio di destra, antirussa, antiortodossa e anticomunista. La storia non si ripete. Ciò che tuttavia sembra essere una ripetizione è la strumentalizzazione dei movimenti della destra radicale antirussa agli interessi geopolitici ed economici occidentali. Dato che il presidente ucraino Janukovich ha rifiutato di firmare il cosiddetto accordo di associazione con l’Unione europea al vertice di Vilnius, nel novembre 2013, Bruxelles fa pressione su Kiev utilizzando le vecchie alleanze.
Lo sfruttamento della destra radicale locale per gli interessi occidentali si è visto anche in altri casi della storia contemporanea. Basti ricordare la frantumazione della Jugoslavia negli anni ’90, quando Berlino e Bruxelles, con l’aiuto di Washington, accelerarono i conflitti interni con la guerra civile e l’intervento estero. Senza alcuna vergogna, gli islamisti in Bosnia e i neofascisti in Croazia furono utilizzati per far esplodere la multinazionale Jugoslavia. L’emissario speciale statunitense per i Balcani dell’epoca, Richard Holbrooke, giustificò queste alleanze nelle sue memorie “Per por termine alla guerra”, definendo i suoi soci “i nostri cani al guinzaglio”. Erano necessari per sbarazzarsi del nemico, i serbi di Slobodan Milosevic, sostenendo e rispondendo alle critiche “non era il momento di essere ipersensibili” per poi dover “cercare di controllarli”. Lo scenario ucraino attuale ha simili sembianze spettrali. L’occidente è ben consapevole di usare i fascisti, che non sarebbero tollerati nella sua sfera, per gestire il cambio di regime a Kiev… Solo successivamente Berlino, Bruxelles e Washington cercheranno di sbarazzarsi dei loro “cani al guinzaglio” di destra. Se dovesse fallire, l’Europa potrebbe accordarsi con il fascismo. Non sarebbe la prima volta. Janukovich sembra aver un’ultima possibilità da Bruxelles nel rinunciare alla leadership politica in cambio del riconoscimento delle proprietà della sua famiglia oligarchica da parte dell’Unione europea. Tale offerta in qualche modo costituisce già il primo passo per screditare l’opposizione. Al momento nessun leader dell’opposizione è pronto ad accettarla.

La ripubblicazione è gradita in riferimento al giornale on-line della Strategic Culture Foundation.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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