martedì 15 ottobre 2013

Default Usa: le conseguenze del crac

Il presidente degli Usa Barack Obama, al termine del suo discorso sullo shutdown.Pil in calo, terremoto finanziario, risparmio a rischio: gli effetti del fallimento. Bozza di accordo al Senato, intesa possibile.Dopo lo shutdown, il default.
Senza un accordo tra democratici e repubblicani, il 17 ottobre gli Usa sono destinati alla cosiddetta 'bancarotta tecnica'. Non una bancarotta tout court, poiché, nella sostanza, la Casa Bianca dispone di una certa liquidità necessaria per alcune imprescindibili esigenze.
IL TETTO DAL 1917. Quello degli Stati Uniti sarebbe però un default tecnico, innescato dall'impossibilità di violare la soglia di indebitamento stabilita periodicamente dal Congresso, e attualmente pari a 16.690 miliardi di dollari.
Il tetto al debito pubblico esiste per legge negli Usa dal 1917 e solo dal 1962 è stato innalzato per 74 volte.
Una volta giunti alla quota fissata di volta in volta, gli Usa non sono autorizzati a emettere altro debito (in forma di titoli di Stato) per finanziarsi: prosciugate le risorse in cassa, non sono dunque in grado di onorare gli impegni presi con i cittadini e con gli altri Stati.
LO STALLO POLITICO. Il crac sarebbe politicamente evitabile se i repubblicani (in maggioranza alla Camera) non si fossero intestarditi nel ricattare il presidente Barack Obama sullo stop alla riforma sanitaria, rendendolo una condizione (indigeribile) per l'accordo sul debito.
E se l'intesa non dovesse arrivare, le conseguenze per l'economia americana sarebbero catastrofiche. Con riflessi pesanti sui mercati globali e la crescita degli altri Paesi.


1. Pil in calo di quattro punti: economia reale a picco

Lo stop imposto dallo shutdown alla macchina dei servizi e degli uffici pubblici ha già provocato, secondo le stime, una caduta del Prodotto interno lordo (Pil) quantificabile nello 0,1-0,2% alla settimana.
In un mese, la crescita potrebbe franare dello 0,8-0,9%.
Indicativamente, dal 1 ottobre il Pil americano è già sceso dunque di 0,4 punti percentuali.
Con un default tecnico dal 17 ottobre, secondi i calcoli degli economisti, sarebbe molto peggio: il Pil si inabisserebbe subito di quattro punti percentuali.
Gli Stati Uniti cadrebbero in una grave recessione, senza avere la facoltà di emettere nuovo debito per stimolare la ripresa. Gli sforzi per rilanciare l'economia reale creando nuovi posti di lavoro sarebbero insomma vanificati di colpo.

2. Tra fondi pensioni e titoli, metà degli americani rischia i propri risparmi

Dal default uscirebbero a pezzi i piccoli risparmiatori e i titolari di fondi previdenziali e di assicurazioni, detentori - in varie forme - di quasi metà del debito pubblico degli Usa.
Da uno studio della società d'analisi Congressional quarterly (gruppo Economist), nel 2011 (ultimi dati disponibili) oltre 8 mila miliardi di dollari in buoni del Tesoro americano risultavano nelle mani di investitori pubblici e privati stranieri (1.150 miliardi in Cina, poi Hong Kong, Giappone, Gran Bretagna e Brasile).
Oltre 1.400 miliardi erano invece detenuti dai banchieri centrali della Federal reserve (Fed). E altri 4.600 miliardi si trovavano invece in pancia a enti governativi statunitensi: per la gran parte in fondi fiduciari destinati a finanziare il sistema del welfare e le infrastrutture.
Tra Fed e assicurazioni previdenziali, una grande parte del debito di Washington è dunque in mano agli americani. E se non venisse ripagato per le famiglie sarebbe un terremoto.

3. In ginocchio le economie basate sul debito Usa

La bancarotta degli Usa renderebbe impossibile però ripagare gli interessi anche agli stranieri: un danno d'immagine enorme, da sommarsi a quello economico.
I Paesi che avevano fatto affidamento sui titoli di Stato americani rischiano di finire in ginocchio se questi non venissero ripagati.
Il collasso degli Usa innescherebbe dunque una nuova crisi economica globale. E neanche il dollaro sarebbe più considerato un metro stabile per gli scambi internazionali.

4. Allarme spread e tassi d'interesse alle stelle

Uno studio dell'Ufficio ricerche del Congresso ha suggerito che, in extremis, per calmare i mercati il Tesoro possa comunque continuare a effettuare i pagamenti sul debito, ritardando però quelli a cittadini, fornitori ed enti locali.
I finanziatori internazionali saprebbero comunque che la misura, eccezionale, è temporanea. Ma, come successo alle deboli economie europee, i tassi d'interesse sul debito pubblico in questo scenario rischiano di schizzare verso l'alto, rendendo Washington ostaggio dello spread.
Da speculatori, gli Usa diventerebbero vittima della speculazione.

5. Salvataggio in extremis della Fed, col pericolo inflazione

Per frenare il collasso, secondo gli analisti, la Fed ha a disposizione una sola strategia: quella delle misure straordinarie. Coniando, per esempio, 1.000 miliardi di dollari ex novo, per ripagare i creditori e permettere agli Usa di rifinanziarsi.
L'altra mossa possibile è quella di rimandare a tempo indeterminato il tapering (la diminuzione e la fine programmata degli acquisti dei titoli di Stato), per soccorrere l'amministrazione. Proseguendo, anziché frenando, le sue politiche di stimolo all'economia. Con un rischio fortissimo: generare inflazione. E svalutare il dollaro. 
Lunedì, 14 Ottobre 2013

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